Ciabatti: «Gioco con il comico Barbiere»

TRIESTE. Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini debutta venerdì al Teatro Verdi di Trieste, ma è già un successo. È con questa nuova produzione che il teatro triestino ha avuto infatti l'onore di inaugurare l'anno scorso la Dubai Opera con due sold out. A Trieste il cast sarà parzialmente rinnovato, con l'eccezione del Bartolo di Domenico Balzani, del Basilio di Giorgio Giuseppini e della Berta di Maria Cioppi. Nel primo cast il Conte innamorato che trova ogni espediente per sposare la sorvegliatissima Rosina sarà Giorgio Misseri, la sua "docile" ma vivace amata che lo aiuterà a liberarla dalla severa tutela di Don Bartolo sarà Aya Wakizono, il leggendario "factotum" Figaro sarà Mario Cassi. Nel secondo cast gli stessi ruoli saranno interpretati da Vassilis Kavayas, Cecilia Molinari e Vincenzo Nizzardo, con il Bartolo di Fabio Previati. Ritornano ovviamente a dare la carica al divertimento puro di questo capolavoro il direttore Francesco Quattrocchi e il regista Giulio Ciabatti che per il Teatro Verdi ha firmato nella sua carriera oltre trenta spettacoli. La sua regia del Barbiere, con le scene di Aurelio Barbato, è nata per l'importante trasferta a Dubai. Considerando l'enorme popolarità di questo simbolo dell'opera buffa italiana, un simile progetto ha incluso automaticamente la responsabilità di presentare al meglio un "prodotto DOP". «Ho scelto un allestimento classico - spiega Cianatti - che è un omaggio alla grande tradizione del teatro italiano, al mondo dei comici, degli attori, dei cantanti che nel '700 viaggiavano di teatro in teatro con i loro bagagli e le loro storie». «Volevo un Barbiere insolitamente tradizionale - continua il regista -, ambientato all'epoca del suo autore Beaumarchais, quindi antecedente a Rossini (che scrive quest'opera per il Carnevale del 1816), anche con un pensiero al teatro di Molière nel tipo di recitazione. L'opera buffa non ha bisogno di essere modernizzata a tutti i costi.
Nel comico è effettivamente più difficile aggiungere contenuti inconsueti, oltretutto in un capolavoro che conta un numero enorme di allestimenti.
«Il pericolo maggiore è quello di sovrapporre significati estranei, come fosse un'opera seria. Oggi va di moda applicare alle opere un trattamento iperrealista e fare della bottega di tradizione una vetrina. In questo caso non può funzionare. Non amo linguaggi contemporanei che occhieggiano a musical, reality, fiction. Il mio riferimento è la comicità ammiccante che scaturisce dal ritmo scenico, dalle situazioni surreali, dalla capacità degli interpreti, un teatro come quello di Ariane Mnouchkine, oppure la comicità astratta alla Buster Keaton».
Cosa le piace del Barbiere?
«Tutto. L'avevo messo in scena diverse volte all'estero, ma qui a Trieste è la prima volta, quindi sono stato particolarmente felice della proposta. È il congegno perfetto dell'opera buffa. Non ha epoca, perché parla dell'eterno, comico scontro tra generazioni e di modi diversi di guardare al passato o al futuro. Il Barbiere segna la fine dell'opera buffa, è il suo apice ma anche il tramonto, dopodichè seguirà l'esplosione del melodramma, nel quale tutta la società borghese indosserà la maschera della serietà».
Saremo a Siviglia?
«Saremo in un teatro, evocando piuttosto che descrivendo lo spazio scenico. Il balcone di Rosina è il ballatoio del palcoscenico e gli attori prendono via via dai bauli oggetti con i quali inventano sul momento la situazione e anche lo spazio attorno».
Quali sono gli ingredienti che non devono mancare per ottenere l'effetto comico?
«Il ritmo e i travestimenti. Uno degli elementi della comicità in quest'opera è il momento in cui il Conte entra in casa di Bartolo nei panni di un soldato ubriaco. Ma è anche vero che oggi non sappiamo più ridere come una volta...».
Ma quando gli interpreti si divertono, la risata è sempre contagiosa...
«Il teatro è una forma di gioco, un modo di vedere la realtà e i suoi simboli, anche la nostra vita, sotto l'aspetto ludico. Si dice esista un dio che canta, danza e si diverte. Secondo me questa dimensione mitica e ancestrale è alla base di tutto il teatro. Il Barbiere è bello perché ti riporta alla dimensione dell'invenzione, del desiderio di coinvolgere gli spettatori, di una fantasiosa finzione dalla quale oggi si tende a prendere le distanze. A volte questa finzione contiene un grado di verità superiore rispetto alle nostre realistiche verità, che sono in fondo soltanto menzogne mascherate».
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