Cittadini tiepidi e normali che girano la testa altrove per non guardare le dittature

La giornalista Géraldine Schwarz, partendo dalla sua famiglia osserva i “senza memoria” che si autoassolvono dalle colpe
éraldine Schwarz
éraldine Schwarz

la recensione



La nonna adorava Hitler senza considerarsi nazista, il nonno detestava Hitler ma era iscritto al partito per praticità. Il nonno rilevò l'azienda di un imprenditore ebreo che si rifugiò in America, e dopo la guerra per molti anni condusse un logorante tira e molla per non pagargli il giusto risarcimento. La nonna continuava a sospirare "se ci fosse ancora il Führer!". Nell'insieme tutta la famiglia cerca di minimizzare, tranne la nipote, Géraldine Schwarz, giornalista franco-tedesca, la quale aperto l'armadio dell'avita casa nella cittadina di Mannheim, a colpi di documenti, foto e interviste, costruisce una sorta di panopticon per osservare "I senza memoria" (Einaudi, pagg. 333, euro 21) di ieri, di oggi e di tutte le sponde.

Certo la Germania ha fatto una drammatica ammenda dei suoi peccati. Ma se la Schwarz si inoltra angosciata in un'amnesia che contamina l'Europa, la ragione è stilizzata nella frase di pochi giorni fa e rimbalzata dalla maggioranza dei quotidiani, della giovanissima ereditiera dell'impero dolciario Bahlsen, dal visino fragrante come un frollino alla panna: «Durante il nazismo i lavoratori forzati noi li abbiamo trattati bene».

La Bahlsen benevola con le schiave polacche un po' come nonno Schwarz, niente affatto antisemita, che si autoassolve perché in fondo ha rilevato l'azienda dell'ingrato Loebmann a norma di legge, secondo le tabelle predisposte dal Nsdap, il partito nazista, e senza nemmeno tirare troppo sul prezzo.

A questa categoria di persone, la maggioranza dei 69 milioni di abitanti del Reich nel 1937, gli Alleati applicheranno il supersconto dell'impunità: sono i Mitlaufer, i tiepidi, quelli che seguono la corrente e vengono fatti uscire moralmente indenni dalle maglie della disfatta. Gli Alleati hanno già il loro bel daffare con criminali acclarati, gerarchi e alti funzionari per operare anche un repulisti tra i vari Schwarz dalle aspirazioni banali. Così la responsabilità collettiva, locuzione urticante per tedeschi e austriaci, e ciò fino agli anni ’60 inoltrati, crea conati di rigetto in tanti onesti nazisti che faranno un bagno battesimale nella versione edulcorata del passato. Cui concorrono tutti, con sparute eccezioni, nella granitica convinzione che aver obbedito costituisca una circostanza attenuante, quando non una virtù, e aver approfittato una mera conseguenza.

Tre lustri dopo la fine della guerra, è clamoroso successo, premio incluso, per l'autogiustificatorio film "Stalingrado" (1959) di Franck Wisbar dove gli ufficiali della Wermacht, fedeli e animosi, non abbaiano ordini nel tedesco sadico delle pellicole postbelliche dei vincitori e vinti, come l'Italia, non germanofoni.

La Francia, cui la Schwarz dedica un affilato capitolo del suo saggio partito da una paziente indagine personale, aveva giocato d'anticipo per sbarazzarsi del pesante retaggio del regime filonazista di Vichy, aspergendo l'unguento balsamico di René Clément "Operazione Apfelkern" (1946), film in cui i ferrovieri francesi ostacolano la circolazione dei treni nazisti. Tutti partigiani, tutti resistenti, o almeno tutti loro indefettibili sostenitori, specie quando la Storia cambia il binario della giusta causa. Il cinema proietta le verità a piacimento; cadono come semi e a quel punto dipende dallo stato del terreno.

Se l'Italia avesse compiuto il suo lavoro della memoria, oggi ci sarebbero così tanti cittadini pronti a giustificare e relativizzare il fascismo? si chiede l'autrice. Quel fascismo placido e azzurro come il "Mediterraneo" (1991, sommerso di premi) di Gabriele Salvatores lo inghirlanda, dove i soldati italiani di stanza in un'isoletta greca sono brava gente e con un cuore grande così. Sotto i miti è nascosta spesso la polvere di singole responsabilità. Forse anche quella del nonno materno della Schwarz, che, racconta, fu gendarme in una zona dove il governo di Vichy dava la caccia agli ebrei. Di più non è dato sapere, e forse non è nemmeno necessario, visto che la somma di tante normalità determina poi il destino di intere nazioni. —



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