Conciatori, il pittore che portò Kubrick nello spazio

Cucinava le polpette per il suo amico Michelangelo Antonioni, che ne andava matto, prima nel proprio studio alla Garbatella, dov'era nato, e poi nella sua casa-atelier vicino piazza di Spagna, definita dall'associazione Amaci il più piccolo museo del mondo. Con Federico Fellini, suo vicino di casa, andava invece a prendere il caffè da Canova, in piazza del Popolo. Ne ha fatta da allora di strada Emilio Conciatori, artista uscito allo scoperto per caso, che ha saputo cogliere ogni attimo dell'esistenza tra l'atmosfera della “Dolce vita” e il ritmo incalzante delle sue pennellate.
Una pittura, la sua, che ipnotizza, quasi le tele contenessero una luce divina, tanto il colore è incandescente nei toni del rosso, avvolgente nei toni del blu. E lo avevano capito subito Francesco Cossiga, suo collezionista, e Stanley Kubrick, che decise il suo destino: doveva essere Conciatori, assieme all'artista giapponese Takashi, a realizzare la prima locandina del film "2001: Odissea nello spazio".
Per chi ancora non lo avesse incontrato, oggi sarà a Trieste al finissage della sua personale "Dei e Demoni", che propone una cinquantina di tele alla Lux Art Gallery (via Rittmeyer 7/a) dalle 10 alle 20, un'apertura straordinaria per far conoscere i suoi cinquantasei anni di carriera e i suoi ottantatrè di vita.
Cosa ci faceva nel '68 ai Pinewood Studios di Londra?
«Mi aveva chiamato Kubrick per firmare la locandina di "Odissea nello spazio". Un incontro nato per caso, dopo che il mio amico Gianni Bozzacchi, fotografo personale di Liz Taylor e Richard Burton e di tante altre star, e collaboratore del famoso regista, aveva visto dei miei quadri a Città del Messico. Era un introverso Kubrick, mi guardava in modo strano, ma poi ho capito che era un genio. Nel '74 il film uscì in Italia e il mio successo è andato ancor più alle stelle, ma c'è un episodio che mi ha dato ancora maggiore notorietà: a cavallo tra il '74 e '75 un altro amico, Bruno Oliviero, mi propose di dipingere sul corpo di Charlotte Rampling. Mi sono bastati i colori ad acqua per realizzare “L'albero della vita” su di lei, che mi confessò di non aver fatto la doccia per tre giorni».
La donna per lei è stata sempre una figura importante?
«Le donne me piacciono da morire.! M'ispirano molto, ma le ho sempre trattate con grandissimo rispetto. Sono sempre state fondamentali per la mia carriera, mi hanno portato fortuna. Ricordo Beatrice Macola, attrice nel film "Schindler's list" di Spielberg che, assieme a Liz Taylor, è stata una delle mie grandi collezioniste. Oppure Anne Nicole Smith, coniglietta di Playboy. Una mia grande amica è Dorina Forti, famosa truccatrice del cinema, triestina, che mi ha fatto tornare dopo trent'anni a Trieste, questa volta a esporre alla Lux Art Gallery, spazio espositivo davvero di alto livello nel panorama italiano».
E quand'è stata la prima volta a Trieste?
«Questa città la conosco bene, perché avevo esposto qui negli anni '80 in alcuni negozi di Lucio Furlan, in via Carducci, incontrato grazie a un mio amico della Garbatella. E mi ricordo Barcola e il fritto misto, quanto mi piaceva».
E il mare?
«È un elemento importantissimo nella mia pittura, m'ispira, come le donne. Tutto il ciclo che espongo a Trieste l'ho realizzato nella mia villa a Fregene e ho ordinato altre 48 tele su cui voglio rappresentare la mia libertà».
Recentemente è stato definito "la leggenda della pittura italiana" dalla rivista polacca "Trendy"". Perché?
«Penso, per la mia tecnica di pittura speciale, su ho lavorato otto anni. Dipingo a olio, colori che realizzo io stesso, studiati dai pittori del '500, cui aggiungo anche due elementi miei moderni, la mia è un'alchimia».
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