Così suor Giulia fece tremare la Chiesa
Lo scriveva come fosse una premonizione. Chiudendo il suo romanzo “Io, Partenope”, Sebastiano Vassalli annotava: «È l’ultima tappa di un viaggio che mi ha portato a vedere il mio Paese: l’Italia, dalla parte delle radici».
Purtroppo quel libro si è rivelato per davvero l’ultima tappa di un lungo viaggio letterario. Visto che Sebastiano Vassalli è morto il 26 luglio di quest’anno, poco più di un mese prima della consegna a Venezia del Premio Fondazione Il Campiello. Che quest’anno era stato attribuito a lui a coronamento di una carriera che può vantare la pubblicazione di romanzi belli come “La notte della cometa” e “La chimera”, Premio Strega 1990.
E “Io, Partenope”, pubblicato da Rizzoli (pagg. 286, euro 19), in un certo senso, rappresenta proprio la quadratura di un cerchio letterario. Perché se la “Notte” portava in scena il poeta Dino Campana, la “Chimera” la storia di una donna accusata di stregoneria, questo romanzo va a cercare a ritroso nel tempo il personaggio di Giulia Di Marco. Diventata in fretta, agli occhi della chiesa, un soggetto pericoloso perché contrapponeva a una religione molto concreta, e venata di intrallazzi, la via estatica. Il colloquio diretto con Dio tramite la preghiera.
Qual’era il modo più semplice per squalificare una donna religiosa (che Napoli aveva innalzato a erede di Partenope, la sirena che da sempre protegge la città) se non quello di accusarla di commerci carnali? Di orge e altre nefandezze? E, infatti, suor Giulia entrò nel mirino del Sant’Uffizio, venne strappata dalla sua terra, esiliata a Roma.
Ma nel romanzo di Vassalli, Giulia Di Marco si prende una bella rivincita. Raccontando in prima persona quel mondo di faccendieri travestiti da religiosi, che vedeva nella Chiesa solo un grande centro di potere. Vassalli la trasforma nel simbolo dell’Italia che non ha perso la propria dignità nemmeno nei momenti più bui.
alemezlo
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