Da duecento anni salutiamo con Ciao storia di una parola diventata universale

Il linguista Nicola De Biasi va all’origine della voce Le prime attestazioni scritte risalgono al 1818

PAOLO MARCOLIN

La storia, negli occhi e nelle scelte di personaggi ai margini della scena, ma essenziali, per scandirne le svolte. Come Raimondo Lanza Branciforte di Trabia, principe siciliano, uomo di gran mondo, elegante e fragile (a lui Domenico Modugno dedicò una delle sue canzoni più belle e struggenti, “Vecchio frac”) e, si scopre adesso, acuto agente dei servizi segreti italiani. Molti lettori ne erano rimasti affascinati, leggendo “Mi toccherà ballare”, scritto due anni fa dalla figlia Raimonda: storie familiari, sullo sfondo d’una Sicilia aristocratica e restia ai cambiamenti, passioni amorose e, alla fine, una morte inattesa dietro cui si nasconde, forse, un delitto. Adesso, di Raimondo Lanza, si scoprono altri aspetti in “Quando si spense la notte” ovvero “la spia che non voleva la guerra”, di Ottavia Casagrande, la nipote, sempre per Feltrinelli: una storia vera, avvincente come fosse un romanzo, intrecciando ricordi personali e carte d’archivio, con colpi di scena che potrebbero far rileggere diversamente la storia d’Italia, nel tempo contrastato della Seconda Guerra Mondiale.

A rivelare alla Casagrande aspetti inediti del principe, arriva Geraldine S., una gentile signora inglese che, dopo aver letto “Mi toccherà ballare”, racconta all’autrice le memorie della madre Cora, lei sì davvero spia del governo britannico a Roma e, con trasporto crescente, amante di Lanza. Amore e guerra, spionaggio e passione.

Sono anni cupi, quelli che fanno da sfondo del racconto, il 1939 e il 1940. Lampi di battaglia, con le armate tedesche che, dopo aver aggredito la Polonia, dilagano in Europa. L’Italia, per il momento, è “non belligerante”. Ma Mussolini si prepara a entrare in guerra, nonostante alcuni, nelle stanze del governo fascista, nutrano preoccupazioni sull’effettiva forza militare italiana e sulle eccessive mire di dominio dell’alleato nazista. Come Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri, genero del Duce, fatuo e vanesio, ma anche lucido interprete della realtà. Le sue preoccupazioni hanno un attento ascoltatore proprio in Raimondo Lanza, amico e confidente di giochi di società e di inquietudini. Il fascismo rivela vizi e debolezze che disilludono Raimondo, anima bella che, da volontario squadrista durante la guerra civile in Spagna, aveva creduto nei valori della Patria e nella spregiudicatezza dell’arditismo della “bella morte”. E adesso che il regime trascina l’Italia verso la guerra, aumentano i dubbi, le preoccupazioni, lo spirito critico dell’eroismo infranto.

Parte da qui, il racconto della doppia vita di Raimondo Lanza, dandy e gran corteggiatore di belle donne (Susanna Agnelli, tanto per fare solo un nome), ma pure diplomatico e spia, un po’ per gioco e un po’ per amore. Con tutta l’ironia che s’addice a un gran signore che della vita ha visto anche l’anima nera, coltivando il disincanto: “Fossi Lombroso - riflette tra sé e sé Raimondo, assistendo, da un nascondiglio, al raduno in parata degli alti gerarchi fascisti tutt’attorno a Mussolini - mi troverei piuttosto a mal partito. E’ difficile immaginare come siano riusciti a raggruppare ed esporre tutti insieme tanti volti così flaccidi, anonimi e banali”.

Nelle pagine di “Quando si spense la notte”, è tutto un tramare, scappare, ricorrere a trucchi e travestimenti, sfuggire ad attentati e veleni, muoversi nelle pieghe dei servizi segreti, portando alla ribalta anche il conflitto che oppone il colonnello Santo Emanuele (personaggio oscuro, corrotto, ricattatore, ma protetto dal Duce perché capo della squadraccia che aveva assassinato, in Francia, i fratelli Rosselli, leader liberali, ostili al fascismo) al generale Carboni, capo del Sim, il Servizio segreto militare, legato a Ciano ma ben introdotto anche a Corte, negli ambienti dei Savoia.

E’ proprio Emanuele, travestito da inserviente del lussuoso “Train Bleu”, il Calais-Méditerranée-Expressdei Wagon Lits, ad attentare alla vita di Raimondo e Cora, con un potente veleno, la stricnina. Ma l’assassinio va a monte, per caso. E i due amanti riescono ad arrivare a Parigi, regalandosi giorni d’amore indimenticabili, poco prima che la città venga occupata dalle truppe naziste. Poi, la fuga a Londra, su una piccola barca a vela. Cora è salva. E Raimondo, su mandato di Ciano, chiede di incontrare Churchill e, proprio davanti al premier inglese, nei giorni terribili di Dunkerque... La storia di “un uomo innamorato della vita e sedotto dalla morte” svela sorprendenti retroscena.

Ricordate la parola’petaloso’? Inventata da un bambino delle elementari un paio d’anni fa, è entrata con una corsia preferenziale tra i neologismi della Treccani grazie al beneplacito dell’accademia della Crusca. Una carriera folgorante, battezzata dal tweet di Matteo Renzi che nel 2016 ringraziava il piccolo inventore per la “nuova bella parola”. Petaloso però non sembra aver riscosso un gran successo – quanti di noi l’ha pronunciata durante la sua breve vita? – e non sarebbe carino ironizzare sul fatto che il tweet dell’allora presidente del Consiglio forse non ha portato molta fortuna a entrambi. Chi certamente non è un raccomandato, ma è venuto su con la fatica degli umili, migrando dall’est, prima borbottato dai mercanti veneziani e poi depositandosi nella nebbia delle pianure del nord è ciao, saluto italiano per antonomasia, conosciuto, pronunciato e riportato tale e quale in molte lingue del mondo. Dopo pizza è la parola italiana più diffusa, tanto universale che nel 1990, la sghemba mascotte dei mondiali di calcio che si svolsero in Italia venne appunto chiamata Ciao.



Quest’anno, annunciano i linguisti, “ciao” compie duecento anni, visto che le prime attestazioni scritte la fanno nascere nel 1818. Pian piano il saluto cominciò a diffondersi per la penisola, legato alle manifestazioni di carnevale. A Trieste, riporta il giornale locale ’La ciarla’ del 15 marzo 1859, alle quattro di mattina della settimana grassa, due maschere si incontrano: «Ciao? Te conossi mascherine!». Sempre a carnevale a Caggiano, nel salernitano, a metà Ottocento durante l’ultima sera di carnevale chi si incontrava per strada si salutava così: «A voi lu ciaone a noi lu maccarone». Proprio il “ciaone” che un paio d’anni fa un altro tweet ha portato agli onori delle cronache politiche. Come è possibile che il ciaone carnevalesco sia finito centosettanta anni dopo, in un hashtag? Nicola De Biasi, docente di storia della lingua all’Università Federico II di Napoli lo spiega nel bel saggio “Ciao” (Il Mulino, pagg. 163, euro 13,00). Dunque, rassicura il linguista, il ciaone del Pd non ha niente a che fare con il ciaone del maccarone. Il primo forse derivato dal classico “ciao neh” piemontese, trasmesso al sud; il secondo già presente nella Treccani on line come accrescitivo di ciao.



Ma la storia di ciao è molto più antica. Le sue radici affondano nel latino medievale sclavum, parola con la quale si indicavano le popolazioni slave. Quando queste cominciarono a essere ridotte in schiavitù, gli sclavi, in quanto popolo, diventarono schiavi per antonomasia. Siamo nella seconda metà del Duecento quando sclavus assume questo nuovo significato. Facciamo un altro passo avanti. A partire dalla seconda metà del Quattrocento comincia ad affermarsi l’uso di salutare qualcuno, di persona o in una lettera, dichiarandosi, per una forma di cortesia, suo schiavo: una convenzione entrata poi nel cinquecentesco Galateo di Baldassarre Castiglione. Da schiavo a ciao il passo è breve e a questo punto il nuovo saluto circola nell’Italia preunitaria, ma non si afferma ancora del tutto. Il balzo definitivo lo fa l’abbattimento del “lei”.



Quella parolina sulla quale Franca Valeri esercitava con sublime eleganza la sua ironica intelligenza quando diceva che «il tu non appartiene così strettamente alla nostra lingua da cancellare il bellissimo lei. Che non è distacco, non è superbia, è un bisogno di riflessione anche in un rapporto quotidiano...quell’attimo per chiedersi ancora “chi è?” “Che rapporto ci lega”’?». E dandosi del tu come ci si saluta se non col ciao? Il servizio militare ha fatto crescere l’uso del ciao tra i commilitoni e se nell’Ottocento il canto di chi partiva per la guerra era “Addio mia bella addio”, cento anni dopo è “Ciao, bella ciao “ a proporre lo stesso tema. Il dilagare del ciao avviene alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, giovandosi della tv, dei dischi, della radio, e ricevendo una spinta decisiva dalle generazioni più giovani. La battaglia è vinta. E oggi? C’è qualcosa che mette a rischio il trono di ciao? Bella zio, saluto dei millennials, non farà strada. Date retta a uno che la sa lunga, Vasco Rossi: «Sai cosa ti dico? Ciao!». —



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