Dante Ferretti in Oklahoma con Scorsese «Ricordo bene Medea, a Pasolini devo tutto»

Tre volte Premio Oscar (per "Hugo Cabret" e "The Aviator" di Martin Scorsese, "Sweeney Todd" di Tim Burton), nove nomination (tra cui "L’età dell’innocenza", "Gangs of New York" ancora di Scorsese, ma anche "Intervista col vampiro" di Neil Jordan o l'"Amleto" di Zeffirelli), una fantasia immaginifica spesso pensata in coppia con la moglie con la moglie Francesca Lo Schiavo, una filmografia così imponente e prestigiosa da togliere il fiato. Dante Ferretti è nell'olimpo mondiale nell'arte della scenografia da tempo ma non dimentica i suoi primi passi. Che furono 50 anni fa per "Medea” di Pier Paolo Pasolini: esordiva firmando la sua prima scenografia proprio in quel film, girato fra la laguna di Grado, Anzio e la Cappadocia e set dove si materializzò l'incontro tra lo sferzante scrittore-regista e "la" cantante lirica per eccellenza della storia, Maria Callas.
Oggi un film ripercorre le vicende di quella lavorazione attraverso ricordi e aneddoti dei protagonisti del set, da Ninetto Davoli all’assistente personale della Callas Nadia Stancioff, dai costumisti Piero Tosi e Gabriella Pescucci (anch'essa esordiente e futuro Premio Oscar per "L’età dell’innocenza") a Piera Degli Esposti che debuttò nel ruolo di ancella.
È “L’isola di Medea”, il documentario scritto e diretto da Sergio Naitza prodotto da Lagunamovies e Karel con Fvg Film Commission, produttore associato Erich Jost: uscito nel 2017 con anteprima all’International Athens Film Festival, Premio Fellini al Tiburon Film Festival-California, torna sugli schermi in versione rieditata con un’intervista inedita a Dante Ferretti. E per la prima volta, lunedì, verrà presentato a Gorizia.
Reduce dal lavoro per la monumentale e malinconica epopea di “The Irishman”, già in odore di Oscar, Dante Ferretti ricorda "Medea" rispondendo dall'Oklahoma, dove sta preparando «le scenografie del nuovo film di Scorsese "Killers of the flower moon" con De Niro e DiCaprio, una storia ambientata negli anni '20 che racconta l'uccisione di alcuni nativi americani dopo che sulle loro terre è stato trovato il petrolio».
Com'è nato il suo rapporto artistico con Pasolini?
«Avevo iniziato come aiuto scenografo già nel 1964 per "Il Vangelo secondo Matteo", poi ho continuato a collaborare con lui, il tutto è avvenuto gradualmente, sempre con maggiore coinvolgimento. Le scenografie di "Edipo re", per esempio, sono firmate da Luigi Scaccianoce ma in realtà lui era impegnato in altri film e mi lasciò totalmente campo libero, senza peraltro avvisare Pasolini. Il film venne candidato ai Nastri d'Argento, chiesi a Scaccianoce se era contento, se sarebbe andato alla cerimonia e lui rispose che non gli importava nulla, che avrebbe disertato la serata. Invece ricordo che lo vidi in tv prendere il premio, ringraziare Pasolini e non citare il sottoscritto. Ma le scenografie di "Edipo re" erano tutte mie. Pasolini lo sapeva, perché mi aveva visto sempre sul set. Così quando arrivò il turno di "Medea", Pasolini non volle più Scaccianoce e chiamò me».
E poi?
«Ricevetti una telefonata di Franco Rossellini che mi fece imbarcare nel giro di mezza giornata su un aereo, destinazione la Cappadocia. Mi portarono sul set, mi venne incontro Pasolini che mi ringraziò con gentilezza di avere accettato l'incarico e mi disse che fra quattro ore, per prendere la luce del tramonto, avrebbe dovuto girare una scena con la Callas su un carro. Mi mostrò un carretto sbilenco, neppure utile a trasportare legna. In quei momenti ti devi ingegnare, e basta. C'erano maestranze che avevano lavorato con me a "Satyricon" di Fellini, chiesi materiali da rivestimento all'aiuto costumista Gabriella Pescucci e preparai il carro. Pasolini lo vide e disse due parole: "È perfetto"».
Com'era il vostro rapporto sul set?
«Bisognava essere sempre pronti, qualsiasi cosa chiedesse. Talvolta non capivo ma eseguivo ugualmente, non osavo chiedere ulteriori spiegazioni. Ci siamo sempre dati del lei: quando girammo "Medea" avevo solo 26 anni mentre Pasolini era già famoso e autorevole. La mia collaborazione con lui è proseguita fino alla fine con altri quattro film: la cosiddetta "trilogia della vita" e "Salò". Gli devo tutto, Pasolini mi ha aiutato a crescere nel lavoro, e a maturare come persona. Mi ha dato fiducia quando mi ha scelto per "Medea" e questo non lo potrò mai dimenticare. Resta uno dei ricordi più belli della mia vita».
E la complessa relazione Pasolini-Callas?
«Mi viene subito in mente la loro speciale amicizia. Pier Paolo era molto orgoglioso che lei avesse accettato la parte, Maria era ancora la Divina e "Medea" resta nella storia anche perché è l'unica sua interpretazione cinematografica. Era sempre molto attenta a quello che le diceva Pier Paolo, lui aveva sempre mille attenzioni per lei, e lei aveva una luce speciale verso di lui. Li vedevo sempre insieme anche dopo il set, la sera a cena, a volte sembravano due innamorati. Mi è piaciuto vedere questo risvolto inatteso di Pier Paolo».
Cosa le ha lasciato quel film?
«Sono passati 50 anni: il ricordo è quello di un gran lavoro, gratificante. Penso a "Medea" come a un viaggio. Abbiamo girato in Turchia, Siria, Civitavecchia, laguna di Grado e Marano, Pisa, Cinecittà: in ogni luogo si doveva trovare e creare una tessera di un mosaico che avesse una finale unità pittorica. Me lo ricordo in ogni film che faccio». —
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