Dobrilla, un triestino a Bolzano che scrive di fatti e fattacci

“Fatti, fatterelli, fattacci” (Historica Editore), il libro del professor Giorgio Dobrilla, triestino di nascita, ex primario dell’Ospedale di Bolzano, dove vive da quasi 40 anni, passato alla scrittura, non andrebbe affatto letto d’un fiato, bensì sorbito a dosi omeopatiche, non per pesantezza del tema o per un linguaggio ostico e specialistico, anzi... per meditarci sopra, per rievocare e ripensare eventi passati, o soltanto orecchiati o, al contrario, coinvolgenti: fatti, fatterelli e fattacci appunto passati nell’archivio della memoria e riportati alla luce ricordandoci situazioni e stati d’animo che credevamo dimenticati e che invece si risvegliano gioie, dolori, delusioni, indignazione.
Una lettura agevolata dalla singolare struttura del “racconto” suddiviso per sezioni ordinate secondo l’alfabeto, dalla A di Amore (articolato in diverse “sottospecie”) alla Z di Zapping e dipendenza televisiva.
Perché l’idea di questa insolita struttura“ alfabetica?
«Perché le notizie, divertenti, curiose o drammatiche che siano, durano per lo più quanto un quotidiano; di qui l’idea di scrivere un libro “quotidiano” che fotografasse una realtà così eterogenea attingendo a un archivio cartaceo divecchi giornali, ma soprattutto all’archivio più ponderoso, cioè la mia “memoriastorica”».
E come si spiega l’ordine alfabetico?
«Semplicemente perché mi ha consentito di saltare da un tema all’altro, come avviene nella cronaca, senza essere vincolato alla cronologia, alla continuità tradizionale del racconto ».
L’obiettivo di questo libro?
«L’intento era quello diindurre alla riflessione colui che definirei “lettore medio”, che sfogliae legge,masenza approfondire: in più anche qualche obiettivo “speciale”, più profondo: la denuncia delle ingiustizie, della superficialità. In primis ,ad esempio, il vile e mai abbastanza punito femminicidio, la sanità pubblica, la miopia nei confronti del fondamentalismo islamico, la delinquenza travestita da sport e tanto, tanto altro».
Sarebbe più gratificato se il lettore reagisse: divertito oppure indignato, naturalmente a seconda del tema?
«Innanzitutto sarei lieto se reagisse comunque; poi il divertimento purché condito di una sana o feroce ironia, ma in primis opto per l’indignazione».
Ma serve ancora, soprattutto in tempi come questi, indignarsi?
«Servirebbe, ma l’indignazione senza sbocco è troppo poco e può risolversi in sterile frustrazione. Non resta quindi che sperare in una globalizzazione, oltre che dell’economia, anche della voglia e capacità di leggere, istruirsi, riflettere e ricordare, o meglio di “non dimenticare mai”».
Le viene in mente qualche situazione particolarmente “indigesta”?
«Mi consenta un pur abusato “assolutamente sì”: il fatto ad esempio che proprio quei Paesi che dovrebbero fronteggiare i fondamentalisti sanguinari come Isis, Boko Aram e simili siano gli stessi che gli forniscono le armi; poi il femminicidio con la relativa risibile normativa, la persistente ingiustizia verso la donna, dalle retribuzioni ridotte al suffragio universale tardivo o ancora negato in molte parti del mondo».
Ci sono nel libro due lettere diverse,ma che affrontano un tema analogo: A come amoree S come sesso...
«Sotto la seconda scrivo di “sesso sbagliato” ovvero “disturbi di identità di genere”,i drammi di quanti ad esempio sposati con figli subiscono un cambio di sesso, di transessuali e omosessuali ancora mal tollerati e penalizzati nei diritti civili da leggi ormai tanto fuori dal tempo quanto inaccettabili»
E per quanto riguarda Amore?
«Qui ricordo dapprima eventi che denunciano la discutibile concezione dell’amore che imperversa soprattutto in ambienti “altolocati”, dalla politica alla finanza, fra i potenti in sostanza, come nel caso, che ho titolato “ Amore impunito”, dell’ex direttore del Fondo Monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn, personaggio potente accusato di tentata violenza sessuale che se la cavò senza alcuna sanzione. Ma poi attribuisco molta più attenzione e spazio a quello che definisco “Amore impedito” e che riguarda i disabili».
In effetti è ormai riconosciuto che tutti hanno diritto al sesso, ma se ne parla poco, come mai?
«È un classico esempio dell’ipocrisia tuttora diffusa, visto che non se ne occupa nessuna istituzione e tanto meno il mondo dell’informazione. Ci sono Paesi più civili, di certo il Giappone e la Germania, dove operano i cosiddetti “assistenti sessuali”, benemeriti volontarie volontarie che aiutano con discrezione e professionalità giovani handicappati cerebralmente normali, quindi con libido intatta, ma privi di arti o inibiti nei movimenti o altro, che non possono praticare neppure l’autoerotismo, con quale sofferenza possiamo immaginarcelo. Altri impedimenti, i casi in cui si arriva a negare il matrimonio in chiesa a coppie eterosessuali perché uno dei partner per traumi di varia natura non è in grado di procreare».
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