Due mamme per un figlio

Margherita Oggero tratteggia un affresco dell’Italia dal Dopoguerra a oggi
Nel 1933, in uno dei momenti più cupi per l'Europa, Esther deve lasciare Berlino, il suo fidanzato, la sua libertà, ogni promessa di futuro. Decide il papà per lei: sono ebrei, non si può fare altrimenti. “La vita spesso fa male alla vita”. Dieci anni dopo è una giovane donna colta, ricca, taciturna, dall’intelligenza tormentata, la cui eleganza sconcerta l’arcigna suocera piemontese. Rosanna, invece, è cresciuta in mezzo alle risaie, non ha potuto studiare, e la sua bellezza ostentata le ha giocato un brutto tiro trasformandola in fretta in una creatura determinata a cambiare la propria vita di domestica. Cos’abbiano in comune due donne così, non ci vuole molto a scoprirlo. Empatia, certo. Soprattutto, un figlio.


È da una nascita che inizia il libro di
Margherita Oggero
Non fa niente
” (
Einaudi, pagg. 244, euro 19,00
). Dal primo vagito di Andrea, “stropicciato e furibondo, bello in carne, tre chili e due etti”. È il giugno 1948: Esther ha 34 anni, Rosanna 19, l’Ingegnere, il marito di Esther, 40. 1948 vuole dire clima politico arroventato, le ferite della guerra non ancora rimarginate, il piano Marshall ai suoi inizi, l’indigenza diffusa. Non per la famiglia di Riccardo, l’Ingegnere: proprietario terriero, di risaie specialmente, di un cementificio e di una fabbrica di componentistica auto. E di una villa in un paesino di provincia che aspira a diventare città: i portici, i negozi, i due cinema, i giardinetti, il bar Centrale.


Riccardo ed Esther sono una coppia di ferro. Si sono conosciuti in Svizzera: è qui che Esther, passaporto falso, nome inventato, si è rifugiata da Berlino. Una conferenza di Jung, a Zurigo, cambia le loro vite: l’Ingegnere si incanta sul profilo di Esther, fresca laureata in Filosofia con un lavoro all’Università. Diverrà una moglie mai accettata dalla suocera, avulsa da tutte le abitudini della vita di provincia, negligente nelle faccende domestiche alle quali preferisce lunghe ore nello studio. In paese si (s)parla, si dice che non ce l’ha fatta “a comprare l’aria”, cioè ad acclimatarsi bene e a fare un figlio. Finché l’erede tanto sospirato, nella villa di famiglia di Bordighera, viene alla luce. E viene alla luce da una domanda: in un giorno coraggioso, di fronte a una tazza di thè, chiede a Rosanna se l’aiuta a fare un figlio. Esther è sterile, può farlo lei, Rosanna, con Riccardo che sogna la paternità. In fondo, i figli sono di chi li ama. Ma può esistere un amore di madre che non contempli l’esclusiva, che accetti di esser condiviso con chi madre non è? Rosanna accetta. Non prova nessuna rivalità o gelosia nel confronti della Signora, anzi, quasi una specie di gratitudine.


Esther la tiene vicina a sé, a casa sua, si pranza e si cena insieme. Il patto segreto per la vita rafforza il rapporto tra le due donne al di là delle convezioni sociali. Rosanna per tutta la vita sarà capace di stare dentro al ruolo di “bambinaia” che si è imposta nonostante la gravidanza segreta; Esther avrà il buon senso di non escludere Rosanna dalla vita del piccolo.


Non è solo Andrea a legare le due donne: Rosanna è sveglia e ambiziosa, Esther lo intuisce: nutre un affetto da sorella maggiore verso la sua “domestica”, le dà lezioni per cinque giorni alla settimana, il sabato e la domenica si fanno i compiti, il giovedì pomeriggio passeggiata Torino e poi a scuola di dattilografia e stenografia. Bisogna pensare al futuro quando il ruolo di “balia” a Rosanna andrà stretto. Bisogna, anche, ricambiare, dimostrare gratitudine. I sentimenti sono “zuppe inglesi”, e comunque tutti quegli sforzi vanno a segno. Da Villa San Giacomo, in campagna, a via Maria Vittoria, centro di Torino: la famiglia allargata trasloca a Torino agli inizi degli anni ’50, Rosanna va a vivere da sola. Trova lavoro come segretaria nello studio di un avvocato, il cordone ombelicale con l’Ingegnere e la moglie si allenta, mai si spezza.


I salti temporali del romanzo (riuscitissimo) tutto al femminile della Oggero (torinese, per la Rai ha scritto i soggetti della fortunata serie “Provaci ancora prof”, ispirata ai suoi libri e con Veronica Pivetti come attrice protagonista) raccontano un’ottantina di anni di Italia: dalla Seconda guerra mondiale alla Torino postbellica, da Bartali che vince il Tour de France al Muro caduto, dai tumulti del ’68 al jazz dei ruggenti anni Sessanta fino agli anni del Terrorismo. Il ritratto di famiglia termina negli anni Novanta. E ci sono gli oggetti a colorare i decenni: la bicicletta Benotto, le giacche di pannofix, le pastiglie Leone, la brillantina Linetti, la gazzosa della bottiglietta Codd, le Fiat 1100 che arrancano su autostrade appena costruite. Con qualche parolina piemontese messa lì, senza alcun bisogno di Google traduttore.


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