«È dal Medioevo che i governi invitano a fare la spia in nome del bene pubblico»

Durante i giorni del lockdown in parecchi hanno segnalato alla polizia il vicino che usciva di casa oppure faceva la grigliata in giardino con gli amici. Come chiamarli, spioni o collaboratori virtuosi? Il dilemma tra denuncia e delazione è antico come l'uomo, ma è nel Medioevo che la denuncia dei privati viene elevata al rango di norma.
Lo racconta un libro collettaneo a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, “Riferire all'autorità” (Viella, pagg. 300, euro 32), in cui la denuncia e la delazione vengono affrontate da diversi punti di vista. Esaminando denunce di fatti politicamente rilevanti o di frodi commerciali e spaziando cronologicamente dal Medioevo all’Età moderna il libro collettivo offre spunti per riflettere sul bisogno di sapere proprio delle autorità e sull’atteggiamento dei cittadini chiamati e disposti, ma non sempre, a collaborare.
Come mai avete concentrato il focus della ricerca sul periodo medievale?
«Perché - risponde Maria Giuseooina Muzzarelli - la delazione è figlia di quel preciso momento storico e sociale: viene ampiamente attestata in tutti gli Statuti dei comuni, in cui si richiama reiteratamente la necessità di tenere gli occhi aperti e di riferire alle autorità».
Quali sono i motivi per cui i governi comunali invitano i cittadini a denunciare i reati?
«Vogliono aprire ai cittadini la partecipazione al governo e al mondo produttivo. Si vive in una dimensione collettiva che investe anche il campo dei controlli e delle denunce. Denunciare era insomma un diritto e insieme un dovere: rientrava nelle prerogative della cittadinanza».
Come funzionava il sistema?
«C'erano delle istituzioni che avevano il compito di occuparsi delle delazioni, che potevano essere segrete e anonime. Era prevista la remunerazione del denunciante con l’assegnazione di una quota della multa applicata al trasgressore, pari spesso a un terzo dell’ammenda prevista».
Si sa quanto diffuse erano le denunce?
«Purtroppo di preciso non lo sappiamo, mancano dati che possono farci ipotizzare se l'invito alla denuncia avesse davvero preso piede».
I denuncianti non erano visti come spie?
«Tutt'altro, l'orizzonte di riferimento è il bene pubblico. La denuncia era una forma di adesione collettiva a quanto accadeva in città. Ma anche prima della fase comunale la delazione era sollecitata e premiata soprattutto in situazioni anomale, emergenziali, in una parola in stati di crisi».
Un po' quello che è successo qualche mese fa, quando siamo dovuti rimanere chiusi in casa per il Covid.
«Hanno chiamato spioni quelli che segnalavano chi se ne andava per i fatti suoi, invece erano persone che agivano in nome di un bene comune».
Chi denuncia dice la verità, però non è detto che stia sempre dalla parte del bene, come chi ha denunciato gli ebrei ai nazisti. Come la mettiamo?
«Il dilemma non si è mai sciolto fino in fondo. Si può tentare di fissare una linea di demarcazione avendo a mente lo scopo della denuncia-delazione: se il valore di riferimento, la ragione che induce ad accusare e che nell’autore della norma sollecita la denuncia di un reato è il bene comune, la conservazione di un’ordinata vita collettiva e del disciplinato scorrere di essa secondo precise regole stabilite negli Statuti, allora si tratta di accusa o di denuncia e non di delazione. Quest’ultima invece sarebbe ispirata da interesse personale o da desiderio di vendetta, da una finalità cioè dotata di valore destruens della vita della collettività».
Insieme alle banche, alla lettera di cambio e agli occhiali, il Medioevo ha 'inventato' anche questo sistema di partecipazione dei cittadini alla vita politica. Eppure parliamo ancora di secoli bui.
«La colpa è del Rinascimento, quando per far vedere quanto era splendente, per contrasto gettò discredito su secoli precedenti. Solo nel Settecento il Medioevo ha cominciato a essere visto in una luce più obiettiva e oggi direi che il Medioevo è rivalutato anche grazie all'opera di studiosi come Alessandro Barbero». —
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