È la Sicilia la chiave di tutto della bellezza, del male e delle radici della civiltà

“L’Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto”, della bellezza e delle radici della civiltà, aveva sentenziato Wolfgang Goethe nel suo “Italienische Reise” all’inizio dell’Ottocento. “La Sicilia come metafora”, sosteneva Leonardo Sciascia. Dei contrasti tra la luce e il lutto, le ansie di cambiamento e le peggiori resistenze conservatrici, la cultura della legalità di magistrati e uomini dello Stato e la violenza mafiosa. Delle felicità. E dei misteri. Ecco, sui misteri siciliani e nazionali, con uno sguardo rivolto agli Usa, si concentra l’attenzione di Enrico Deaglio in “La zia Irene e l’anarchico Tresca” (Sellerio, pagg. 288, euro 14,00). Un inizio romanzesco, sul lascito d’una abile agente dei servizi segreti al nipote Marcello Eucaliptus, d’una valigia piena zeppa di carte e appunti riservati. E tante pagine di storia vera, sull’assassinio, in una strada di Brooklyn, nel gennaio 1943, di un capo popolo, Carlo Tresca, amatissimo sindacalista, nemici di fascisti e mafiosi, ma anche di quegli uomini d’affari pronti a tradire Mussolini per allinearsi agli interessi del potere americani e dei nuovi partiti della futura democrazia italiana. Chi uccise Tresca? E chi, poi, nel 1947, ordinò la strage di braccianti a Portella delle Ginestre? Chi tessè le trame nere del terrorismo delle bombe e nascose i retroscena dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini? Misteri, appunto, sino alla crisi dei giorni nostri. Che l’impasto di fiction e storia, nelle abili mani di Deaglio, tenta di chiarire.

C’è un’altra storia che si dipana tra Palermo e New York: quella di Joe Petrosino, poliziotto di grande acume, la cui vicenda di orgoglioso immigrato e abile detective, viene ricostruita da Stephan Talty in “La mano nera” (Dea Planeta, pagg. 317, euro 17,50): i fermenti dei primi Novecento in una Lower Manhattan brulicante di gente appena sbarcata a Ellis Island in cerca di fortuna, le mosse delle organizzazioni criminali, l’ansia di giustizia e libertà di tanti lavoratori perbene. E le imprese della “Italian squad”, la squadra di polizia tutta composta da italiani che si rivela ben presto temibile per i nuovi mafiosi. Sino all’uccisione di Petrosino, durante un viaggio a Palermo. E alla sua leggenda che ancora dura.

Di quelle stagioni c’è traccia anche nelle pagine di “Storia mondiale della Sicilia”, una raccolta di saggi curata da Giuseppe Barone per Laterza (pagg. 568, euro 35,00): una corsa nel tempo dai bicchieri di vetro vulcanico prodotti a Lipari nel 4500 a. C. all’attualità delle stragi mafiose della seconda metà del ’900 e della ripresa con l’economia vivace dell’oriente dell’Isola e le speranze di Palermo patrimonio Unesco e “capitale della cultura”. Nel tempo, le traversie d’una terra in cui si incrociano traffici e guerre del Mediterraneo, intrecci e conflitti di civiltà, straordinari splendori architettonici e terribili povertà. Sicilia dei contrasti. E d’una letteratura che, da Pirandello a Sciascia, da Quasimodo a Vittorini e Camilleri segna in modo originale la grande cultura europea.

La terra dei contrasti affascina profondamente John Julius Norwich, ex diplomatico e storico inglese, che la mette al centro di una “Breve storia della Sicilia” (Sellerio, pagg. 509, euro 15,00), partendo dai fenici e dai greci e arrivando ai nostri giorni, passando attraverso i fasti di arabi e normanni e le decadenze della lunga stagione del dominio spagnolo, alleggerito dall’ironia d’uno spettacolare barocco. Ci sono pagine intense sull’Ottocento dei moti carbonari e dell’arrivo dei garibaldini, con il carico di speranze e illusioni (si avverte netta l’influenza del disincanto de “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa) e sulla controversa modernizzazione dei primi del ’900, con la bella Palermo del Liberty. Per chiudersi con lo sbarco americano e inglese, la “liberazione”, le ombre della violenza mafiosa. Si torna, così, ai misteri. E ci si lascia con una consolazione: “Malgrado la sua storia tormentata la Sicilia resta un gioiello”. Riecco l’eco di Goethe. —

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