Edward Carey dal Texas racconta la sua Inghilterra come un novello Dickens

di FEDERICA MANZON «Ogni volta che nasceva un Iremonger era consuetudine di famiglia regalargli qualcosa, un oggetto speciale scelto da Nonna, quello che appunto era chiamato il suo oggetto natale»....
Di Federica Manzon

di FEDERICA MANZON

«Ogni volta che nasceva un Iremonger era consuetudine di famiglia regalargli qualcosa, un oggetto speciale scelto da Nonna, quello che appunto era chiamato il suo oggetto natale». Un oggetto che definiva per sempre la personalità di chi lo riceveva, che serviva a proteggere dalle malattie e andava trattato con la massima cura. Perché, attenzione, gli oggetti si possono anche ribellare! A Clod Iremonger tocca in sorte un tappo da bagno universale. Ma chi è Clod Iremonger?

Lo sappiamo prima ancora di iniziare a leggere, dalla copertina di questo libro strano e affascinante, che sembra arrivato da un'altra epoca, dal mondo delle storie e dei grandi palazzi vittoriani con scalinate in legno e soffitte polverose, da un mondo popolato di zie temibili, cugine baffute da sposare e nonni austeri. "I segreti di Heap House" (Bompiani, 351 pp., 18 euro) è il nuovo libro di Edward Carey, illustratore e scrittore di romanzi, che con la fantasia gioca da vero maestro.

Carey ci presenta subito Clod, l'eroe della sua storia, disegnandolo in copertina: piccolo, malaticcio, in panciotto e calzoncini corti, con la faccia triste di un eroe dickensiano. Ed è infatti a Dickens che pensava l'autore quando ha iniziato a scrivere: «A scuola, nelle fantastiche scuole inglesi della mia infanzia, mi hanno obbligato a leggere Dickens, mi è forzatamente entrato nel sangue» osserva. «Da quel momento l'ho sempre amato moltissimo».

Questa storia non nasce dalle parole scritte, ma dal disegno.

«Capita sempre così. In me illustrazione e invenzione vanno di pari passo. Quando mi sono trovato davanti gli occhi di Clod, i suoi capelli impomatati e il suo farfallino, ho subito pensato che assomigliava a un dagherrotipo vittoriano. Quindi era lì che avrei dovuto ambientare la storia».

Negli anni subito dopo la rivoluzione industriale, un'epoca di grande accelerazione produttiva…

«Sì, è in quel preciso momento che le persone hanno iniziato a produrre una quantità enorme di cose e di conseguenza anche di scarti. Heap House è circondata dai rifiuti. La gente era schiacciata dai rifiuti oltre che dall'Impero britannico. Vivevano in condizioni terribili, l'aria era inquinata e l'azzurro del cielo era coperto dai fumi delle fabbriche. In quel contesto di povertà e sfruttamento proliferavano coloro che arraffavano il più possibile, che si arricchivano frugando tra gli scarti. La famiglia Iremonger veniva da lì e aveva in gestione l'intera produzione di immondizia di Londra».

L'Inghilterra è ovunque nel libro, cosa significa per un inglese scrivere di Londra vivendo in America?

«Non so come sia successo, ma oggi vivo in Texas. L'Inghilterra mi manca molto. D'altra parte si scrive molto meglio di un paese quando si è lontani, perché si è meno spaventati. Non potevo descrivere la Londra di oggi perché non ci torno da dieci anni. Invece in quella vittoriana mi trovo a mio agio, la conosco bene dai libri. Ciò nonostante mi sono approcciato ai luoghi in maniera nervosa, ci ho girato attorno. Questo primo libro della trilogia di Heap House è ambientato in un luogo fitt. izio fuori Londra, nel secondo mi avvicino e solo nel terzo ci arrivo davvero».

Ogni membro della famiglia Iremonger è protetto da un oggetto, alla fine più rassicurante delle persone?

«Diciamo che noi siamo sempre protetti da oggetti, in qualche modo costituiscono l'armatura con cui affrontiamo il mondo per non essere nudi, mai davvero esposti. Gli oggetti ci possono proteggere ma non salvare. Però sono ciò che di più vicino abbiamo al concetto di immortalità: sono più persistenti delle persone, meno scalfibili dagli accidenti. Ci danno fiducia. Ho sempre avuto un grande fascino per le cose, soprattutto antiche, e vivendo in Texas mi mancano molto. Il pericolo che corriamo oggi però è quello di esserne travolti».

I protagonisti di Heap House riempiono d'attenzioni in propri oggetti natali. A volte sono veri e propri surrogati d'affetto poiché i legami familiari sono distanti o mancanti. I protagonisti, Clod e Lucy, sono entrambi orfani…

«Certo! È un dettaglio che ho creato di proposito. In questi ultimi anni ho insegnato scrittura creativa e ho fatto lavorare i miei studenti sulle fiabe. In fondo uno diventa scrittore a partire dalle storie che ha sentito o letto nei primi anni della propria vita, e sono quasi sempre fiabe. La regola numero uno nelle favole è eliminare i genitori. Farli fuori! Quando non ci sono più i genitori non c'è più protezione e i personaggi possono vivere le loro avventure liberamente».

Clod e Lucy trasgrediscono ogni regola. Prima di tutto esplorano senza limiti le stanze piene di segreti di Heap House…

«È una cosa tipica da ragazzi, esplorare i luoghi sconosciuti, soprattutto se paurosi. Il modello della casa degli Iremonger è il collegio dove sono finito a otto anni. Era il luogo del terrore. Ci arrivavi percorrendo un tratto interminabile che lo separava dal mondo. Era un edificio vittoriano e come tale terribile: pieno di torrette, scaloni e coperto interamente di edera che lo soffocava. Ci era vietato andare in molte stanze, potevamo solo fantasticare su cosa c'era dietro alcune porte. Da allora non ho mai smesso di immaginare».

Clod ha un dono, un super potere: sente le voci degli oggetti.

«Sono convinto che la magia sia fondamentale nelle storie. Questo libro ha vinto dei premi riservati alla letteratura per ragazzi ma è dedicato anche agli adulti, come tutte le fiabe. Erano i vittoriani a tenerle ben separate dal mondo dei grandi, ma io credo sia una costrizione inutile. Toglie tutta la libertà alla letteratura, che è senza dubbio il luogo più libero che esista. Non serve molto per scrivere un buon libro: bastano una persona, un foglio e puoi creare un mondo. E questo è magico, no?».

Heap House è circondata dai "cumuli", montagne immense di rifiuti: ciò che buttiamo via ma anche ciò che perdiamo, che ci viene sottratto senza che ce ne accorgiamo…

«La prova che un essere vive sono le cianfrusaglie che accumula, ma poi queste vengono abbandonate e nascoste alla vista, non ne sappiamo più nulla. Non si tratta solo di cose che abbiamo deciso di gettare via, spesso sono oggetti dimenticati: si ammassano da qualche parte senza che noi ci facciamo più caso fino a quando, chissà come, spariscono. In fondo sono pezzi della nostra vita, sono la nostra famiglia. Forse uno scrittore non fa altro che questo, raccogliere i pezzi perduti o abbandonati delle vite degli altri e cercare di metterli insieme dando loro nuova esistenza».

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