Emmanuel Carrère racconta Calais, senza cadere nella trappola delle banalità

A sentirla raccontare da lontano, Calais sembra l’anticamera dell’inferno. Rifugiati accatastati in un campo profughi che ricorda una bolgia infernale, furti, risse, bar e locali che chiudono in una spirale maledetta. Senza dimenticare i francesi, quei pochi abitanti che ancora resistono e che non possono smettere di denunciare una situazione fuori controllo.
Vista da lontano, Calais sembra il luogo perfetto per un reportage catastrofista d’autore. E allora è normale che un grande scrittore come Emmanuel Carrère, autore di romanzi memorabili come “La settimana bianca”, “L’avversario”, “Limonov” e quel gioiello in bilico tra il saggio e l’auto-fiction che è “Il Regno”, provi il desiderio di andare a dare un’occhiata da quelle parti. Ed è normale pure che una sua affezionata lettrice lasci alla reception dell’albergo una lettera accorata che comincia così: «Lei proprio no, Carrère, no!».
Normale immaginare che un intellettuale, in viaggio a Calais per pochi giorni, finisca per farsi irretire dalle solite “gole profonde”. E regali poi ai suoi lettori un reportage ben scritto, formalmente inattaccabile, ma infarcito di luoghi comuni. Pregiudizi, soprassalti di buonismo, banali dicerie. Proprio per questo, leggere adesso il libro di Carrère, premiato l’anno scorso a Pordenonelegge con “La Storia in un romanzo”, che si intitola proprio “Calais” ed esce per Adelphi (pagg. 49, euro 7) tradotto da Lorenza Di Lella e Maria Laura Vanorio, può rivelarsi davvero interessante. Perché dimostra che lo scrittore francese non ha alzato bandiera bianca davanti all’enorme successo che hanno incontrato i suoi libri in questi anni.
Carrère è lo scrittore che ha saputo viaggiare nel mistero di Philip K. Dick, geniale autore di fantascienza e improbabile esploratore di realtà parallele alla nostra. E ha saputo calarsi nell’inquietante personaggio di Jean Claude Romand, uomo mite e affettuoso che ha ammazzato moglie e figli dopo una vita costruita sulla finzione. Senza dimenticare il suo monumentale ritratto di Limonov, il dissidente russo che riesce a far convivere ideologia comunista e nazista. Così, raccontando Calais, lo scrittore ha provato a esorcizzare i luoghi comuni. Entrando nelle case di chi vive in buco nero della Francia. Ascoltando la voce dei disperati e degli arrabbiati. Regalando un ritratto lucido e onesto che spalanca la porta alla speranza.
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