Enrico Elia, il fante letterato che amava la musica

La letteratura triestina del primo ’900 si circoscrive per buona parte intorno al nodo dell'interventismo. È lo scossone, il vertice acuto in cui si risolve ed esaurisce l'irredentismo di queste terre. In esso convergono i sentimenti più contrastanti e gli si devono, ironia del destino, i caratteri più lusinghieri e riconoscibili del pensiero e della cultura peculiare di Trieste. Il suicidio di Angelo Vivante come controcanto storico, il nitore intellettuale della visione critica di Slataper, il contenimento di ogni esasperazione trionfalistica in Stuparich e il suo ideale di un'Europa dei popoli - qui solo per limitarci a qualche nome - sono alcuni dei connotati profondi che incideranno su tutta la cultura italiana. Anche se il fascismo ne distorcerà alla radice l'ideale negandone l'empito ardente verso una redenzione prima di tutto morale. In questo panorama dove emergono figure di primo piano di letterati che hanno sperimentato la guerra, a volte fino al sacrificio estremo, assume una posizione significativa quella di Enrico Elia: avverso a ogni richiamo guerrafondaio, ebreo, di cultura tedesca ma mai sciovinista, egli si pone come esempio emblematico di chi si farà volontario non per nazionalismo ma per dovere morale. Nato a Trieste nel 1891, fatto battezzare dalla madre Ersilia Fano che si era convertita al cattolicesimo dopo il suicidio del marito Alberto, studi universitari a Vienna e all'Istituto di Studi Superiori di Firenze, il 29 giugno 1915 partì per il fronte come semplice fante e morì sul Podgora il 19 luglio dello stesso anno.
Intellettuale vivace, attivo in ambito letterario e musicale, le sue predilezioni culturali guardano a Dostoevskij Ibsen e Verga, alla letteratura di carattere favolistico e fiabesco e al teatro naturalistico italiano e francese, alla musica "seria" di Wagner, D'Indy e Smareglia, contrapposta a quella "leggera" e frivola delle operette ma anche delle opere di Verdi. I suoi pochi scritti, amorevolmente raccolti e custoditi dalla sorella Cecilia, sono stati ristampati nel 1981 con il titolo "Schegge d'anima" a cura di Elvio Guagnini. Anche l'uscita di "La Falena-Leggenda in tre atti di Antonio Smareglia su libretto di Silvio Benco", volumetto fresco di stampa pubblicato dalla Eut-Edizioni Università Trieste, si deve a Guagnini, che se ne è fatto promotore dopo aver ricevuto il manoscritto in dono da Piero Derossi, docente di Storia della Musica all'Università di Trieste. Nello specifico, si tratta di una tesina universitaria che testimonia il profondo interesse di Enrico Elia per la musica in generale e per Smareglia in particolare. Suddivisa in otto capitoli, funzionali al giovane studioso per analizzare trama, musica, autore, compositore e traduzione tedesca, "Falena" trasuda entusiasmo e severità, passione e rigore, intrisa com'è di quella giovanile baldanza che porta Elia a definire la trama un plot "ben comune e volgare" e dare un giudizio decisamente negativo sullo stile filo dannunziano del librettistA. Tra critiche del testo e apprezzamenti per la composizione, le pagine di Elia scorrono in scioltezza mettendo in risalto pure l'affettuosa perimetrazione storico-letteraria fatta da Guagnini, col valore aggiunto del contributo critico di Gianni Gori.
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