Fiumi scomparsi: scorre la memoria, l’acqua ricorda e Trieste l’ascolta

Oltre mille persone hanno assistito a Fiumi Scomparsi, lo spettacolo promosso da AcegasApsAmga nel Barcolana Sea Summit

Fabrizio Brancoli
Marco Paolini sul palco del GCC
Marco Paolini sul palco del GCC

Alla fine, il pubblico non applaude subito. Resta fermo. Come se ciascuno cercasse il proprio fiume interiore. Poi parte il rumore delle mani e sembra acqua anche quello: un’onda che fluttua e ritorna, che lava via il silenzio.

Trieste, città in discesa e in salita, ha una memoria d’acqua. L’acqua scorre sotto i passi, s’insinua nelle pietre, risale nei racconti. A volte serve una voce, o una nota, per farla riaffiorare. È accaduto al Generali Convention Center giovedì sera, quando oltre mille persone hanno assistito a Fiumi Scomparsi, lo spettacolo promosso da AcegasApsAmga nel Barcolana Sea Summit. Un evento record, ma anche un rito collettivo, a suo modo ancestrale: un ritorno all’origine.

“Fiumi Scomparsi”: oltre 1000 persone al Sea Summit per lo spettacolo sulle acque di Trieste

Marco Paolini, Paolo Fresu e Rajeev Badhan hanno trasformato il teatro in un organismo vivo. Sul palco Paolini ha portato la sua arte del racconto come una sorgente di consapevolezza. Da sempre il suo teatro nasce dall’ascolto delle storie e delle terre. Nelle sue parole si intrecciano cronaca e mito, in un’interlocuzione costante e profonda con chi ascolta. È un narratore epico e quotidiano al tempo stesso: ogni gesto costruisce un ponte e una sfida, chiama in causa lo spettatore. Si scorge la radice della tradizione orale; quella che salva ciò che rischia di svanire.

Accanto a lui, la tromba di Paolo Fresu ha disegnato nel buio. E ne è scaturito un paesaggio sonoro. La sua poetica è fatta di ascolto e di leggerezza: i suoni si cercano, si sfiorano, si dissolvono. Nelle sue improvvisazioni c’è la libertà del mare e la precisione dell’acqua che trova sempre una via.

Rajeev Badhan ha cucito voce e musica in una trama di luce. La scena era fluida, mobile, come se respirasse. Teatro, musica dal vivo e videoproiezioni: Fiumi Scomparsi è stato un viaggio attraverso il tempo e la geologia. Iniziato con la Trieste settecentesca di Maria Teresa d’Austria, quando (tra il 1749 e il 1751) nasce il grande acquedotto che intercetta le vene nascoste del Carso e da lì alimenta la città imperiale, fino ai fiumi sotterranei di oggi.

L’acqua come memoria e come ingegno. L’acqua come misura della sopravvivenza. Le wasser gallerie scavate nella roccia, il Capofonte con le sue vasche di filtraggio, la fatica di chi trasformò un territorio carsico e arido in una città viva.

Nel buio, la voce di Marco Paolini affonda nel presente: l’acqua scorre nelle falde del territorio triestino fatto di flysch (un mix di arenaria, marna e argilla), vista la scarsa persistenza dell’acqua superficiale. Il racconto scende nei fiumi sotterranei, dal Timavo all’abisso di Trebiciano. Le testimonianze degli speleologi si fanno narrazione. Si richiamano le pratiche d’ingegno, che aiutavano a raccogliere l’acqua piovana, e si approda alla realizzazione dell’acquedotto Randaccio nei primi del ‘900, tuttora il primo approvvigionamento per la città.

Abbiamo costruito sopra i fiumi e ora ci chiediamo dove siano finiti. Forse siamo noi, ad aver smesso di scorrere.

È conoscenza idrica, ma è anche cultura. Paolini racconta la scienza come si fa con le antiche leggende, coltivando l’incrocio tra il dato e la fascinazione. Fresu lo segue, la sua tromba pare arrivare dal sottosuolo. Nel GCC, Fiumi Scomparsi ha ricordato che ogni città vive solo se ascolta anche ciò che scorre sotto se stessa. Dove c’è meno luce, dove stanno le fondamenta delle case e i remoti sensi delle strade. —

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