Fra le rovine della Storia un richiamo al futuro con l’arte antica e moderna

Palazzo Fortuny a Venezia ospita “Fotoruins” con 250 opere di cui 80 dell’Ermitage Un racconto “impressionista” per riflettere sui “detriti” lasciati dall’agire umano 

l’esposizione



«Le rovine del tempo costruiscono dimore nell'eternità» diceva il poeta inglese William Blake. La rovina dunque come distruzione ma anche come dimora della storia, nave che attraversa il tempo, traccia per il futuro. Non a caso l’etimologia del termine deriva da verbo latino “ruere” abbattere, cadere, ma richiama anche il verbo greco “reo” scorrere e ancora riporta per alcuni studiosi ad altra radice nel significato di spingere fuori verso l’alto, dunque in qualche modo di “salvare”. Alla complessità storica, artistica, filosofica delle “rovine” è dedicata a Palazzo Fortuny a Venezia la mostra “Fotoruins”. Oltre 250 opere, di cui 80 provenienti dal Museo Ermitage, ripercorrono in una sorta di racconto “impressionista” a schegge, richiami, memorie - dall’antichità all’arte contemporanea – la storia del concetto di “rovina” per riflettere sul senso e sul significato della nostra storia e dei suoi “detriti” artistici, filosofici ed umani e sulla costruzione del futuro che ci aspetta. La rovina si pone dunque sulla linea di confine tra la ricerca dell’eternità e l’azione corrosiva implacabile del tempo, simbolo quanto mai contemporaneo di resistenza e deriva, di fragilità e forza, di memoria ed oblio.

Curata da Daniela Ferretti e Dimitri Ozerkov con Dario Dalla Lana, la mostra offre un’interessante occasione per ripensare al tema della rovina come allegoria del destino umano, incerto e mutevole, ponte tra passato e futuro, vita e morte, distruzione e creazione, tra Natura e Cultura, segno tangibile della nostra storia, capace di suscitare emozione estetica oltre che riflessioni filosofiche sulla nostra esistenza mortale.

«La mostra – spiega Daniela Ferretti - è costruita secondo un ritmo frammentario, che mette a confronto reperti, manufatti, opere e pensieri, dall’antichità ai giorni nostri. Lo svolgersi di questo racconto per immagini affronta un tema estremamente vasto e coinvolgente: la progettazione e la costruzione del futuro attraverso la consapevolezza del suo imprescindibile legame con il passato. Un invito a riflettere su di noi, poiché ogni civiltà ha prodotto le sue rovine, ma c’è da chiedersi se la nostra riuscirà a produrne oppure lascerà solo macerie su cui nulla è più possibile costruire».

Ecco allora in mostra frammenti architettonici dell’antica Grecia, teste e tessere di mosaico dai templi distrutti di Palmira, volti di demoni e déi giunti fino a noi dalla civiltà babilonese o stele sopravvissute alle macerie di Cartagine intrecciarsi nel racconto della nostra storia di uomini e donne su questo pianeta con le rovine incise da Tiepolo o Giovan Battista Piranesi, Albrecht Dürer accanto alle stampe visionarie dei fratelli Alinari, alle Meduse di Arturo Martini e Franz von Stuck, ai ruderi notturni e infuocati di Ippolito Caffi, agli “Archeologi” di De Chirico o alle necropoli contemporanee di Anne e Patrick Poirier. Appositamente per la mostra è stata realizzata anche una serie di opere di artisti contemporanei, come – per esempio - “Sounds after impress Caspar David Friedrich. The Dreamer” con la quale Renata De Bonis ha voluto captare i suoni odierni del luogo immortalato dal grande artista tedesco nel celebre dipinto “Il sognatore”, icona del gusto ottocentesco per le rovine, capolavoro giunto in esclusiva dall’Ermitage.

«In un disegno della cerchia di Baccio Baldini e Maso Finiguerra risalente al 1470-1475 – ricorda Dimitri Ozerkov - Deucalione e Pirra, camminando e coprendosi la testa, lanciano pietre dietro la loro schiena che, cadute a terra, diventano ragazze e ragazzi, la futura popolazione della terra». L’umanità contemporanea, così presa a distruggere e a costruire fragilmente con materiali non fatti per durare, sarà capace di lasciare dietro di sé pietre, rovine, in grado di costruire il proprio futuro?

Per la storia del pensiero occidentale l’estetica delle rovine è un elemento cruciale. Presenti nelle opere medioevali e nella pittura del Rinascimento, le vestigia classiche diventano per i pittori del Barocco e del Settecento i principali soggetti di paesaggi bucolici, dove architetture reali o d’invenzione si stagliano come simboli enigmatici ad accogliere e a dissolvere la figura umana. La sensibilità ro-mantica invece distillerà dalla contemplazione dei ruderi il sapore malinconico della perfezione perduta, “una visione che sarà invece – come ricorda Daniela Ferretti – contestata e demolita dalle avanguardie artistiche del ‘900”. Nel “secolo breve” la grande illusione si frantumerà definitivamente nella catastrofe totale dei due conflitti mondiali.

Così, immersa nel fluire del tempo, simbolo di distruzione e di rinascita, tesa verso l’eternità «la rovina – conclude Ferretti - ha nella sua ambivalenza il topos della modernità, il cui emblema si riflette nell’Angelus Novus, l’angelo della storia, descritto da Walter Benjamin con il volto rivolto al passato dove egli vede le rovine della storia, ma sospinto irresistibilmente verso il futuro dalla tempesta che spira dal paradiso».

Il concetto di “rovina” non è più allora solo memoria, traccia della storia o intreccio accidentale tra natura e spirito, ma – come ricorda il filosofo tedesco Georg Simmel – forma aperta che coniuga contemplazione estetica ed etica, molteplicità, conflitto, contraddizione, uniti dall’eterno divenire e dall’imponderabilità della natura. —



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