George Steiner, il critico che voleva cambiare la scuola



Con George Steiner, morto in Inghilterra nella sua casa di Cambridge lunedì all’età di 90 anni, se n’è andato non solo un importante critico letterario (uno dei più noti a livello planetario), ma anche un intellettuale che, con una serie di riflessioni a cavallo tra letteratura e filosofia, si è occupato di alcune fondamentali questioni etiche, civili e politiche del nostro tempo. Nato a Parigi nel 1929 da genitori di origine ebraica trasferitisi dall’Austria per il dilagare dell’antisemitismo e poi emigrato in America nel 1940, era cresciuto in una famiglia dove si parlavano correntemente inglese, francese e tedesco, venedno educato al culto dei classici del pensiero, della musica, della letteratura e delle arti, secondo le migliori tradizioni di quell’ambiente mitteleuropeo della cui rovina si è trovato a essere testimone durante l’infanzia.

Docente in varie università del mondo (tra le altre, Cambridge, Harvard, Chicago, Ginevra), autore di fortunati saggi (Tolstoj o Dostoevskij, La morte della tragedia, Dopo Babele, Grammatiche della creazione, in Italia pubblicati tutti da Garzanti), ma anche di romanzi di successo come Il correttore, Steiner ha rappresentato una voce fuori dal coro tra i critici e gli studiosi di letteratura, polemico, com’è sempre stato, nei confronti delle mode culturali: dalla psicanalisi al femminismo, dal formalismo al postmoderno, fino ai miti del “politicamente corretto” .

In uno dei suoi saggi più belli, “I libri che non ho scritto” (2008), raccontava alcuni aspetti del proprio privato, dall’invidia per l’autentica genialità all’amore per gli animali (che – diceva – può essere più intenso di quello verso gli esseri umani), e rifletteva su alcune questioni cruciali, come il complesso rapporto tra intellettuali e ideologia e l’identità ebraica dopo la Shoà.

Uno dei suoi maggiori interessi è stato quello relativo alla scuola e all’istruzione. Scriveva nel 2004 nel suo saggio La lezione dei maestri: «Insegnare seriamente è toccare ciò che vi è di più vitale in un essere umano. È cercare l’accesso all’integrità più viva e più intima di un bambino o di un adulto. Un insegnamento scadente, una pedagogia di routine, uno stile di istruzione che è, consapevolmente o meno, cinico nei suoi obiettivi meramente utilitari, sono rovinosi. Distruggono la speranza alle radici». Da qui, la sua idea, probabilmente ancora assai utopica, di un moderno curriculum di studi (quadrivium, come lo chiamava col termine dell’accademia medievale) che potesse unire gli studenti di tutto il mondo. E intanto avanzava una proposta forse di più facile realizzazione: un’Olimpiade internazionale di “cultura generale”, sulla falsariga delle ormai celebri Olimpiadi della matematica. Nella convinzione che la cultura può davvero unire le persone, i popoli, le nazioni. —



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