Giordano: «Vado con Tosca al Covent Garden»

Il tenore triestino si prepara alla masterclass della Goerg Solti e tra i progetti futuri vede anche una Manon Lescaut in Nuova Zelanda
Lasorte Trieste 29/06/17 - Massimo Giordano, Tenore
Lasorte Trieste 29/06/17 - Massimo Giordano, Tenore
Doveva essere il 5 luglio, al Teatro Antico di Taormina, per “La Bohème” in diretta nei cinema di tutto il mondo, ma a causa di una laringite, il tenore Massimo Giordano, è stato costretto ad annullare la sua partecipazione. Reduce della “Tosca”, che ha chiuso la stagione lirica del Teatro Verdi di Trieste, con tanto di applausi e fiori, ora si sta preparando per la masterclass che terrà alla Georg Solti Accademia a Castiglione della Pescaia.


Nato a Pompei, i suoi primi passi nel mondo della musica li ha mossi a Trieste, grazia al padre, bidello al Conservatorio Tartini e grande appassionato di canto.


Giordano, lei nasce musicista...


«Ho studiato flauto dolce alla chiesa di Santa Maria Maggiore; in seguito sono entrato al Conservatorio. Lo studio del flauto è proseguito grazie a Giorgio Marcossi, che mi ha tenuto nella sua classe, in un momento in cui non studiavo più di tanto. L'anno precedente al diploma, al posto di Marcossi è arrivato Ruggeri».


Come ha cominciato a studiare canto?


«Tutti i miei amici mi dicevano che avevo una vociona. Era il momento dei tre tenori, di Luciano Pavarotti che cantava “Nessun dorma”. Così ho cominciato a pensare che forse avrei potuto fare qualcosa con la mia voce».


Suo papà che canzoni cantava?


«Mio papà Alberto cantava canzoni napoletane come “Core 'ngrato”, “Torna a Surriento”, “'O sole mio”. Lui lavorava come bidello al Tartini e capitava che si mettesse a cantare, accompagnato al piano da un ragazzo che si chiamava Luca. Mio papà era un tenore leggero di grazia».


Come
mai è venuto a Trieste?


«Lavorando in una fabbrica di marmi, mio papà cominciava ad avere problemi di reumatismi, così fece domanda come bidello in vari conservatori. Lo chiamarono a Trieste. Entrai in Conservatorio grazie a lui; all'audizione portai “Core 'ngrato” e un'altra aria. Su cento persone, arrivai secondo. Come insegnante ad un certo punto arrivò Cecilia Fusco, con la quale cominciai a studiare e capii che il canto poteva essere la mia strada».


Perché ha smesso di suonare il flauto?


«Nel 1988, al Castello di Duino, mi capitò di sentir suonare il flautista Emmanuel Pahud. Se lui a 18 anni suonava come io avrei dovuto suonare, significava che io non avevo nessuna chance di riuscire ad arrivare al suo livello. Così smisi di suonare».


Al Teatro Verdi con quale opera ha debuttato?


«Inizialmente ho cantato per tre anni nel coro. La prima opera con il coro, se non erro, fu “Der Freischütz” (Il franco cacciatore)».


Di recente si è conclusa la “Tosca”, che l'ha vista nella parte di Mario Cavaradossi...


«Gli addetti ai lavori e gli amanti dell’opera mi hanno detto che è stata probabilmente una delle più belle opere degli ultimi anni. Cantare nella propria città non è mai facile, perché, appena entri a teatro, conosci tutti. Per me è stata un’emozione doppia. Hanno pure chiesto il bis!».


Qual è la forza dell’opera per i giovani?


«Sta nella veridicità della forza della musica. Oggi viviamo in un mondo che ha perso di vista la realtà e la concretezza. Quando si parla di opera, si parla di sentimento, ed è difficile per un giovane confrontarsi con qualcosa di così reale».


Tutto è superficiale…


«Ma l’opera richiede attenzione, una lettura approfondita di quello che è il volere di chi scrive la musica. Noi cantanti siamo degli umili servitori, che eseguono quello che è stato scritto dal compositore. Nella nostra epoca, i giovani sono attratti dall'immagine. Questa “Tosca”, grazie a Hugo de Anna, ha giocato su questo. Ma non dimentichiamo il lavoro degli attrezzisti e dei tecnici, che sono parte fondamentale della macchina del teatro».


Progetti futuri?


«In Nuova Zelanda farò “Manon Lescaut”, mentre il prossimo anno si ricomincia con “Simon Boccanegra” alla Hamburg State Opera e con “Tosca” alla Wiener Staatsoper e al Covent Garden. E poi spero di ritornare a Trieste».


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