Giovanna Pastega dà voce alle donne vittime di violenza

di ELISA GRANDO
Lo scorso 8 marzo, mentre sui media si rincorrevano proclami sui diritti al femminile, tre donne di Vicenza, Iglesias e Firenze venivano uccise dai loro mariti. L'insopportabile stillicidio dei femminicidi non conosce soste, ma spesso è difficile capire cosa succede dietro i muri in cui germoglia la violenza domestica. Ce lo racconta con lampi strazianti "Il canto delle balene" di Giovanna Pastega (Laura Capone Editore), non un libro di cronaca ma un diario intimo a quattro voci che la giornalista e scrittrice veneziana presenterà domani alle 18 alla Libreria Lovat, insieme ad Annamaria Poggioli, presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione Friuli Venezia Giulia, e Michele Tarlao, segretario regionale Silp Cgil.
"Il canto delle balene" nasce da tante storie vere: «Come giornalista mi sono sempre occupata del tema, incontrando molte donne sia nei centri anti violenza che nelle case a indirizzo segreto», racconta Pastega. «La violenza domestica è come un iceberg: ne vediamo la punta con le vicende di cronaca, ma c'è una miriade di casi sommersi che a volte non sono nemmeno denunciati». I numeri sono impressionanti: «Gli ultimi dati Istat del 2015, su un campione di 25mila interviste dai 16 ai 79 anni, rilevano come la violenza colpisca una donna su tre, e più del 20% subisca violenze fisiche da parte del partner attuale o dell'ex». E poi c'è la violenza psicologica, più difficilmente quantificabile ma con effetti altrettanto devastanti anche sul lungo termine.
Cosa accomuna le storie della donne che ha conosciuto?
«Il bisogno di essere credute. Di solito hanno combattuto con la negazione di quello che stava accadendo loro. Ammettere che il compagno di vita è il loro carnefice è molto difficile, e tante vivono la violenza domestica come una loro vergogna anche con amici e parenti, come se fosse un destino, una condanna».
Com'è possibile che un uomo riesca ancora a far credere a una donna che non vale niente?
«C'è una questione culturale di fondo. Di solito la violenza non deflagra mai tutta assieme, si insinua un po' per volta. Per retaggio culturale spesso la donna pensa che sia quasi giusto sopportare. E man mano che si accetta si è sempre meno se stesse. Si crea un meccanismo circolare: la donna vittima pensa che forse la situazione si può riparare, magari comportandosi in modo diverso, e così il momento di reagire viene rimandato».
Anche perché spesso i più fragili sono proprio gli uomini violenti…
«Asimov diceva: "La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci". Molto spesso è come se i violenti scaricassero il proprio male di vivere aggredendo le compagne».
Cosa l'ha spinta a scrivere questo libro?
«Un debito nei confronti di una donna: dieci anni fa ero a un convegno sul tema a Treviso e raccontavo del senso di disperazione e isolamento delle donne coinvolte, la sensazione di essere in un "buco" dal quale non si può uscire. A un certo punto una donna sui 35 anni si è alzata e ha detto: "Lei sta descrivendo la mia vita: mio marito mi picchia, aiutatemi". Lì ho capito che le parole possono distruggere, ma anche salvarti».
Cosa si può fare di concreto per combattere la violenza?
«Uomini e donne devono costruire insieme un nuovo modo di intendere le loro relazioni. Tutta la società deve essere coinvolta, a partire dalla scuola: bisogna superare gli stereotipi di genere che seminano già in maniera non corretta. Del resto tornare indietro è un attimo: in Russia, per esempio, è stata appena approvata la depenalizzazione della violenza domestica».
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