Muore Giuseppe Parlato, lo storico che indagò le origini del neofascismo

Aveva 73 anni ed era stato a lungo allievo di Renzo De Felice: fu lui a svelare la vera nascita del Msi e a studiare i fascismi “eretici”

Giovanni Tomasin
Giuseppe Parlato professore all'Università di Roma.
Giuseppe Parlato professore all'Università di Roma.

Giuseppe Parlato, uno dei più importanti storici del fascismo e del neofascismo, è spirato lunedì 2 giugno nella sua casa a Castelnuovo di Porto in provincia di Roma. Aveva 73 anni. La sua attività di ricerca è continuata, nonostante la malattia, fino agli ultimi giorni: aveva in piedi, tra l’altro, un saggio su D’Annunzio, perché il “Vate”, soprattutto nella incarnazione fiumana e adriatica, era stato uno dei capitoli più importanti della sua vita intellettuale.

Parlato era nato il 29 maggio del 1952 a Milano. Si laureò a Torino lavorando su temi risorgimentali, in seguito divenne ricercatore di storia contemporanea e allievo di Renzo De Felice alla Sapienza. Era poi diventato professore ordinario di storia contemporanea nell’Unint, Università internazionale di Roma.

Le sue principali direttrici di studio riguardanti il Ventennio sono il sindacalismo e la sinistra fascista, letta e interpretata come sforzo esercitato da una parte del movimento per una maggiore attenzione ai temi sociali e al coinvolgimento dei lavoratori. Si cita in tal proposito “La sinistra fascista: storia di un progetto mancato”, pubblicato da Il Mulino nel 2000, in cui Parlato indaga il “fiume carsico” di un sentire anticapitalista e antiborghese all’interno del fascismo, il quale si stende - senza mai imporsi - dalla Fiume dannunziana fino al dopoguerra.

Esaminando proprio quest’ultimo periodo Parlato aveva dedicato molte energie alla nascita del Movimento sociale, dal 1946 fino al passaggio in Alleanza nazionale, mettendone a fuoco i passaggi politici più rilevanti, come la scissione di Democrazia nazionale. Si cita qui “La Fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale”, pubblicato da Luni nel 2017.

Quanto all’inizio di quella storia, resta fondante l’opera “Fascisti senza mussolini. Le origini del neofascismo in Italia. 1943-1948”, pubblicata da Il Mulino nel 2006, in cui Parlato ricostruisce l’operato neofascista, a partire dai fascisti rimasti fedeli a Mussolini nell’Italia meridionale liberata dopo il 1943, per arrivare nel dopoguerra alle manovre dietro alle quinte con cui Pino Romualdi – già vicesegretario del partito fascista di Salò – riuscì a coagulare in funzione anticomunista disparati interessi per dar vita al partito che poi sarebbe stato Giorgio Almirante a guidare, l’Msi.

A dispetto dell’orientamento conservatore dello stesso Parlato, l’opera non riuscì gradita a molti eredi di quella vicenda. L’interesse per il versante orientale del Paese lo aveva spinto a impegnarsi in numerose iniziative in ambito giuliano, condotte in collaborazione con il Comune, con l’Università popolare, con la Lega nazionale, con le istituzioni culturali della Comunità italiana in Slovenia e in Croazia.

Già presidente del comitato scientifico del “comitato 10 febbraio” per le questioni del confine orientale, aveva presieduto anche il Comitato scientifico del Centro Documentazione Multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata di Trieste.

Oltre agli incarichi accademici, Parlato era attivo anche in associazioni ed enti di ricerca, Dal 2016 era presidente del comitato scientifico del “comitato 10 febbraio” per le questioni del confine orientale.

Attraverso il suo lavoro nella Fondazione Spirito-De Felice, di cui è stato il motore e che ha presieduto fino all’ultimo, ha contribuito in modo rilevante all’ampliamento degli archivi disponibili alla ricerca. 

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