Giuseppe Stampone «Interpreto con la penna bic i cambiamenti del mondo»

Oggi al Vigne Museum di Rosazzo si inaugura la mostra “The Architecture of Intelligence” prima tappa della rassegna “L’età del rimedio” dedicata ai cambiamenti climatici 

l’intervista



Le emergenze del nostro quotidiano, in particolare i cambiamenti climatici e le relazioni non sempre semplici tra l’uomo e la natura, sono al centro di un evento composito e ambizioso che ha messo insieme per l’occasione due realtà friulane per certi versi affini, l’associazione culturale Vigne Museum e la residenza artistica Rave East Village. È nata così la rassegna “L’età del rimedio” che vuole coniugare arte contemporanea, filosofia, cultura e scienza sul delicato tema delle evoluzioni del nostro pianeta e dell’ambiente. Tra Borgo di Soleschiano e Rosazzo, vicino a Udine, si alternano in questo week-end e nel prossimo una serie di incontri, dibatti e mostre curati da Isabella e Tiziana Pers, Elda e Giovanna Felluga.

Evento centrale di oggi è l’inaugurazione della mostra di Giuseppe Stampone “The Architecture of Intelligence” al Vigne Museum. Stampone, nato in Francia, è un artista italiano molto attivo che lavora tra Roma e New York e che ha esposto in tutto il mondo. Usa i nuovi media per creare progetti didattici su temi globali come gli ecosistemi, le emigrazioni, le risorse idriche, le guerre. Il tratto distintivo della sua produzione artistica è rappresentato dalla scelta di reinterpretare la tecnica pittorica tradizionale attraverso l’uso della penna bic. Il suo format “Global Education” mette insieme l’arte e la didattica perché coinvolge i bambini. «Credo sia molto importante - dice Stampone - sensibilizzare le nuove generazioni sui grandi temi di attualità e sulle questioni sociali. “Global Education” nasce per riscrivere una percezione del mondo attraverso l’arte, è un tentativo di scrivere una nuova didattica. Dal 2002 lavoro in questo modo portando laboratori per bambini in mezza Europa, da Barcellona a Madrid, da Napoli a Milano a Bruxelles».

Come ci riesce?

«Cerco di ristabilire una coscienza collettiva, un approccio visivo e costruttivo all’altro e al diverso tenendo presente un concetto di didattica che considera l’arte come una scienza, una disciplina per comprendere la quale ci vogliono delle specifiche chiavi di accesso e per decifrarne il linguaggio occorrono codici precisi. Io non credo nella dittatura dello spettatore: io, invece, voglio creare una coscienza dello spettatore. E l’arte è senz’altro un’esperienza didattica».

Lei è un fautore dell’arte del futuro che trova più importante di quella del passato.

«Oggi si vive nel mondo di ieri con un culto eccessivo del passato. Nel campo dell’arte cambiano le forme ma i contenuti sono gli stessi di cento anni fa. A me piacciono e interessano la contemporaneità e il futuro. Diffido di chi guarda con sospetto la nuova generazione, la sperimentazione e le nuove tecnologie: per me bisogna valorizzare questi punti e affidarsi a ciò che vogliono raccontarci e mostrarci. La coscienza storica serve per non ripetere in eterno gli stessi concetti ma non deve restare fine a se stessa, altrimenti è solo una zavorra inutile e controproducente».

La sua condizione di emigrato, di figlio di italiani emigrati in Francia, le ha lasciato un segno?

«Certamente, mi ha decisamente forgiato. Io detesto la moda della migrazione di cui oggi il mondo dell’arte si è appropriato. Io posso parlare di questa esperienza perché l’ho vissuta sulla mia pelle in prima persona. Ne faccio una narrazione perché ho qualcosa di concreto da riportare. Ad esempio anni fa, in tempi non sospetti, ho realizzato un video insieme alla performer Maria Crispal ripercorrendo le rotte dei viaggi della speranza, partendo dal Marocco e seguendo una delle vie più battute degli spostamenti dei disperati verso l’Europa. Molti artisti strumentalizzano questo tema facendone un’idea di narrazione che perde la forza del dramma vero».

Cosa porta nella mostra in Friuli?

«Porto una serie di disegni realizzati con la penna bic che stanno in stretta relazione con le foto di Dom Mimi, pseudonimo di un grande fotoreporter italiano. Proponiamo dei disegni fotografici che da oggetti diventano soggetti di un’architettura dell’intelligenza: collochiamo, cioè, l’uomo al centro dell’ambiente per creare una struttura non della cementificazione ma dell’intelligenza, con cui lo spettatore potrà interagire. La mostra racconta della mia esperienza a Rave, una residenza unica in Italia, coerente tra la teoria e la pratica. Rave è un’isola felice che riesce a parlare di temi importanti e che sa dare forma alle uotpie. Un meta progetto amato da artisti internazionali sensibili come Adrian Paci e giustamente appoggiato dalle istituzioni».

Il tema centrale della rassegna “L’età del rimedio” è il cambiamento climatico. Che contributo può dare l’arte?

«L’arte prima che estetica è etica, e deve far riflettere su temi d’urgenza. L’arte, declinata con grammatiche diverse, riesce a comunicare con tutto il mondo, svela la verità dei fatti, fa vedere la storia e l’identità della realtà, contestualizza i fatti. L’arte è politica e nei luoghi dei drammi sociali l’arte riesce a evidenziare la vita, è una possibilità, un punto di vista altro, una via d’uscita per il pubblico... una scappatoia per uscirne vivi».

A seguire la mostra diffusa “Animai Libars” con opere di Regina José Galindo, Igor Grubić, Ivan Moudov, Adrian Paci, Diego Perrone e Nada Prlja e la tavola rotonda “Immaginari oltre la specie” animata da critici, storici dell’arte, curatori, filosofi e artisti. —

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