Gli italiani e il sogno del Dopoguerra Crudeltà e odio emigrano in Germania

La saga della triste e sfortunata famiglia Virno-Mogliano è anche un documentario storico-sociale



Una saga familiare, un concentrato di anaffettività, cupezza e crudeltà, quasi fosse un’opera di Verga. E invece no, a raccontare di emigrazione, ignoranza, di vittime predestinate e carnefici a turno, è il romanzo d’esordio di Sabrina Ragucci “Il medesimo mondo” (Bollati Boringhieri, pagg. 173, euro 15), artista visiva e scrittrice che ha attinto ad archivi e biblioteche per ricostruire ciò che è stata l’emigrazione italiana in Germania nel secondo Dopoguerra. Le innumerevoli interviste sono confluite nel destino implacabile dei Virno-Mogliano, a partire dal capostipite Pietro, ricco proprietario di terre coltivate a tabacco andato in rovina durante il fascismo. Una delle sue figlie - Giovanna - sposa Mino, un falegname. Hanno cinque figli, tra cui Angelo. Angelo non frequenta la scuola perché il maestro preferisce il figlio del notaio al figlio del falegname e nemmeno ha intenzione di imparare il lavoro del padre; non sviluppa alcun talento, è l’uomo nuovo che non teme di essere incapace. A una serata danzante, incontra Teresa. Sono gli anni ’60. “Ci sposiamo e andiamo in Germania?”. “Sì”. Pagano bene nel Baden-Württemberg. Angelo trova lavoro per lui e sua moglie in una cartiera, ma dei due ragazzi appassionati di ballo già non resta nulla. La paga di Teresa e Angelo, ecco, quella costituisce la loro famiglia. Teresa è incinta, ha le nausee e il dottore le prescrive la talidomide. “La chimica tedesca aiuterà i nuovi tedeschi prima della nascita”: non è così. Nasce Roberta, ma la talidomide provoca malformazioni congenite: la neonata ha il busto piccolo, una mano focomelica, e il seno sinistro non si svilupperà mai.

D’estate Angelo torna in Italia con il suo Maggiolino targato “S” di Stuttgart. Tanti straordinari da fare, un secondo lavoro: a chi lasciare la bambina? Ai nonni. Teresa lavora dieci ore al giorno, non vale la pena di tornare a casa e non trovare Roberta ma soltanto l’orsetto di peluche sul divano. E Angelo, con lo straordinario di Teresa, paga la rata del Maggiolino. Teresa aspetta il secondo figlio, ma muore travolta da un’auto: il risarcimento è importante, la morte di Teresa trasforma Angelo nel principe degli emigranti.

Al paese c’è una vedova, Lia, che lavora come donna delle pulizie. Si sposano e si trasferiscono in Germania, Lia lavora alla cartiera, fa tutto ciò che Angelo dice e così è serva al lavoro ed è serva a casa. Ad Angelo basta l’operaia, l’aiutante che gli consente di accumulare, non desidera altro, nemmeno un figlio. Lia è stata scelta per l’utilità, per il denaro che poi finisce a Roberta.

La famiglia si riunisce quando Roberta ha dieci anni, a Milano. E l’ossessione per la pulizia di Lia si acuisce: finito di mangiare, Roberta controlla il lavandino della cucina, appoggia una guancia a terra per captare in controluce la presenza di capelli o aloni sfuggiti al panno. Al mercato Lia compra per Roberta abiti che accentuano i suoi difetti. “Sei fatta sbagliata”, è il commento velenoso. Roberta non ama nessuno, è questa la sua “imperfezione”, il suo unico lato deforme. E Angelo? Non ha mai fotografato né la figlia né le due mogli, conserva solo le comunicazioni bancarie. Roberta finisce in collegio, Lia e Angelo invece tornano in Germania, a Monaco. Roberta vive dagli zii: recupera affetto e serenità, ma rimane convinta che la vita sia fatta di calcolo e indifferenza. Si fidanza con Lello e trova lavoro in banca. Si sposerà, e avrà un marito affamato di soldi e prepotente come suo padre.

Pietro, Angelo, Teresa, Lia, Roberta: tre generazioni legate tra loro dall’infelicità. Nonostante le differenze apparenti (due epoche storiche e due nazioni), tutti i protagonisti vivono immersi dentro gli stessi meccanismi di sopraffazione e sopravvivenza: il medesimo mondo, appunto. Quella di Sabrina Ragucci è una scrittura intensa, perfettamente in grado di scandagliare quasi con un tocco da psicologa le esistenze dei vinti, di raccontare una maledizione eterna. La lucida precisione, il lavoro certosino nel recupero anche dei dettagli più minimi delle vite sospese dei nostri connazionali in Germania fanno del suo romanzo un intenso documento storico-sociale. —

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