“Gli schifosi” disturbano la solitudine del giovane nerd diventato latitante

Nel libro di Santiago Lorenzo pubblicato da Blackie Edizioni l’avventura di un naufrago moderno



Lo spettro della solitudine viene agitato nelle nostre società interconnesse come il massimo dei mali. Non essere in grado di interagire con gli altri, nascondersi o barricarsi in casa come i giovani hikikomori è considerata come una delle maggiori insidie della nostra epoca. Sociologi e psicologi si affannano a spiegare come lo scardinamento delle connessioni con l’altro sia uno dei frutti marci della modernità: l’autocompimento come realizzazione delle istanze del liberalismo spinto. Un’apparente libertà che in realtà è una prigione.

E se non fosse così? Se invece un moderno eremitismo fosse garanzia di felicità e piena realizzazione di sè, a fronte di una società sempre più volgare e degradata? Per fortuna la buona narrativa non segue i pensieri della sociologia, né quelli dominanti, regalando al lettore la possibilità di sognare, divertirsi e, sì, anche riflettere su uno dei cosiddetti mali inarrestabili del nostro tempo, appunto la solitudine.

Lo fa lo scrittore spagnolo Santiago Lorenzo nel suo romanzo “Gli schifosi” (pagg. 227, euro 18,60), pubblicato dalla giovane casa editrice Blackie Edizioni nella pirotecnica traduzione di Bruno Arpaia. La storia è questa. Nato nel 1991, Manuel è un giovane sfigato figlio di genitori persi in se tessi, e che ha un disperato bisogno di stare con gli altri. Ma pochi se lo filano, e Manuel cresce suo malgrado in disparte, affinando le uniche capacità di cui è dotato, i lavori di ingegneristica manuale. Il suo immancabile portafortuna è un cacciavite che porta sempre con sè. Finti gli studi di ingegneria Manuel cerca lavoro ma trova solo occupazioni occasionali, tipo call center. Vive in un appartamento in affitto pagato in nero, e soffre per la sua solitudine. Finché, un giorno, durante una sommossa urbana, un poliziotto lo assale nell’androne del palazzo e lo riempie di botte senza motivo. Manuel reagisce d’istinto, e ficca il suo cacciavite portafortuna nella gola del poliziotto. D’improvviso, da nerd senza arte nè parte Manuel si ritrova criminale fatto e finito. Che fare? In suo soccorso arriva lo zio, padre divorziato che galleggia come può tra lavoretti qua e là, voce narrante nel romanzo. Con l’appoggio dello zio Manuel prende la vecchia utilitaria e fugge lontano. E il giorno dopo si ritrova a Zarzahuriel, un paese abbandonato, «vestigio trascurato senza un’anima, uno fra le centinaia che oggi sono abbandonati in Spagna». Qui Manuel si intrufola in un’ampia e vuota magione che conserva qualche mobile e qualche utensile in cortile. Adesso il giovane è veramente solo, unico contatto con il mondo il cellulare con la nuova scheda fornito dallo zio fiancheggiatore, che carica con i panelli fotovoltaici strappati a un cartello stradale. Rimasto nella lontana Madrid, lo zio riesce a far avere regolarmente a Manuel viveri e oggetti di minima sussistenza, acquistati via internet in un supermercato Lidl con tutta una serie di sotterfugi per evitare che qualsiasi occhio umano si posi anche solo per un istante sul nipote fuggitivo. Per uno fragile come Manuel potrebbe essere la fine. E invece, poco a poco, la solitudine assoluta si trasforma in un’occasione di benessere e libertà totali: «E così viveva Manuel, libero, agguantando frutti selvatici come un pidocchio salterino che succhia la pelle della corteccia terrestre». Nel giro di un anno Manuel è un eremita felice e spensierato, che campa di poco e di poco ha bisogno. Finché un brutto giorno la dimora abbandonata di fronte alla sua viene presa in consegna da una numerosa e ricca famiglia che ne fa la meta di chiassosi week-end. Loro sono La Caciarra, comunità familiare «stomachevole ed esofaghevole e polmonante per vocazione», simbolo di ogni consumistico degrado, nei confronti della quale Manuel prima si nasconde come può, poi scatena una silenziosa guerra fatta di ingegnosi sabotaggi. Da qui il romanzo, sorta di moderno Lazarillo de Tormes, corre dritto verso un epilogo dove l’antieroe solitario alla fine riuscirà a diventare un uomo che, nel tempo, «invece di compiere gli anni, compie il proprio dovere nei loro confronti». —

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