Globalizzazione mal governata neoliberismo e terrorismo tra i flagelli della democrazia

“Saranno gli altri a fare la storia... Dico soltanto che sulla terra ci sono flagelli e vittime e che, per quanto possibile, bisogna rifiutarsi di stare dalla parte del flagello”. Questa frase, tratta da “La peste” di Albert Camus, sta in exergo di “Quando i fatti ci cambiano”, una raccolta di saggi di Tony Judt, pubblicata da Laterza (pagg. 412, euro 28) e curata e introdotta da Jennifer Homans, a dieci anni dalla morte d’uno dei più influenti intellettuali del secondo Novecento, professore a Oxford, Cambridge e alla New York University. I flagelli di cui Judt parla sono la globalizzazione mal governata con effetti disastrosi sull’aumento delle diseguaglianze, l’abbandono dei valori sociali a vantaggio della rapacità della finanza neo-liberista, il terrorismo globale, la crisi dell’Europa per prevalenza di miopi interessi e nostalgie nazionali, i conflitti ancora presenti nel mondo, talvolta mascherati da “guerre umanitarie”. C’è una sezione, lucidissima, dedicata a Israele, l’Olocausto e gli ebrei: analisi critica delle posizioni aggressive di parecchi governi israeliani, da leggere e su cui riflettere proprio perché scritta da uno storico ebreo d’origine e con un’appassionata partecipazione da sionista all’esperienza dei kibbutz. Un lavoro di analisi competente e rigoroso, riprova di quanto sia essenziale, per la democrazia liberale, un lavoro intellettuale con elevati standard culturali e soprattutto etici.
“Combattere la postdemocrazia”, scrive Colin Crouch (Laterza, pagg. 196, euro 18) professore all’Università di Warwick, riprendendo i temi della crisi della tradizionale democrazia rappresentativa e del necessario riequilibrio delle culture del mercato (discusso nel 2014 in “Quanto capitalismo può sopportare la società”): il disinteresse dei cittadini è cresciuto, le derive razziste e xenofobe accentuano le fragilità dell’Europa, l’utilizzo politico distorto della rete e dei social network intossica l’opzione pubblica. Dunque, postdemocrazia da combattere, in nome degli ideali di libertà e migliori equilibri sociali.
Democrazia è anche conoscere bene i fatti, illuminare retroscena e ombre, svelare misteri. Lo fa, con straordinaria sapienza di analisi e scrittura, Bruno Arpaia in “Il fantasma dei fatti” (Guanda, pagg. 288, euro 19). È un romanzo, con un protagonista immaginario, Thomas Karamessines, “Tom il greco”, agente d’alto livello della Cia, capo della sede di Roma nei primi anni Sessanta. E con protagonisti reali, Adriano Olivetti, Mario Tchou (uomo di punta dell’Olivetti per le ricerche e la produzione degli antesignani dei personal computer), Enrico Mattei: tre protagonisti sulle cui morti ci sono ancora punti oscuri. Soprattutto su quella di Mattei, vittima quasi certamente d’un attentato. In quegli anni Sessanta l’Italia perde il primato per l’autonomia energetica, l’industria elettronica e la ricerca scientifica. Interessi internazionali manovrano per questo declino? La fiction (come Sciascia e Pasolini insegnano) può illuminare aspetti che la ricerca storica non riesce ancora a chiarire.
È una storia quanto mai complessa, d’altronde, quella italiana, ricca di pagine controverse. Da storico competente, Francesco Barbagallo, professore all’Università Federico II di Napoli, prova a ricostruire scelte politiche ed economiche in “L’Italia nel mondo contemporaneo - Sei lezioni di storia 1943-2018), Laterza (pagg. 162, euro 16), usando con intelligenza il criterio essenziale di leggere i fatti italiani nella cornice della grande storia internazionale. Il difficile dopoguerra, i primi passi della democrazia forte di una “Costituzione molto avanzata”, gli anni del “boom”e i tentativi di riforme sociali ed economiche che incontrano “potenti ostacoli” sia interni che da parte “delle potenze straniere”, la stagione di terrorismi e stragi, il divario mai sanato tra Nord e Sud, l’avvio della globalizzazione di cui l’Italia “resta ai margini”. Ambizioni. E crisi. Il nostro Paese, purtroppo, “affronta un trentennio di lungo declino economico e sociale e il conseguente deperimento delle pratiche democratiche”. —
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