Holloway e la crioconservazione «Ma chi vorrà questi resuscitati?»

Il “Sono grato alla vecchiaia, che mi ha costretto alla fine a rallentare” scrive Richard Holloway in “La dolcezza dell’addio. Meditazioni felici sulla vita e la morte” ( Einaudi, euro 16,50). E noi siamo grati a lui per questo libro.
Holloway ha una storia lunga, è nato nel 1933 vicino a Glasgow, e complessa. È stato ai vertici della chiesa episcopale scozzese da cui poi è uscito per diventare uno scrittore, un giornalista e un commentatore televisivo di successo. Giunto a definirsi agnostico, anti-bigotto e con una grande fede nell’umanità, ha tenuto al centro di tutta la sua opera il rapporto tra temi etici e religione e le battaglie per tante cause progressiste.
In questo libro, con lieve tenerezza per l’esistenza e molte splendide citazioni, si chiede come prepararsi all’arrivo di quell’ultimo autobus, come saper morire bene. Lo fa attraverso la storia, le religioni, la letteratura, lo fa parlando dunque di Narciso (meglio ciechi che ossessionati da se stessi) e dall’implacabile complesso Apim, l’industria Anti invecchiamento e Posticipazione della morte, che cresce su un’angoscia che è prodotto della condizione umana e dell’autoconsapevolezza che la caratterizza.
Il segreto, dice Holloway, è imparare a conviverci. Il modo migliore per scendere a patti con la vecchiaia è l’umorismo. Più è macabro meglio è. La paura della morte è un’emozione ecumenica contro cui oggi cerchiamo di combattere a colpi di scienza e tecnologia. La Alcor, Arizona, è la più famosa delle quattro aziende che al mondo si occupano di “crioconservazione”. Per 200.000 dollari puoi aspettare a -190 gradi che qualcuno scopra come eliminare per sempre la morte. Per 80 dollari puoi godere invece del neuro-only, e salvarti, forse, solo la testa. Ma poi, si chiede Holloway, che se ne faranno gli abitanti di questo ipotetico futuro senza morte dei “più o meno resuscitati”? L’umanità, dice, non ha una tradizione felice per quel che riguarda l’accoglienza agli stranieri, soprattutto quando sono considerati strani e diversi.
«Dobbiamo saperlo aspettare, il momento di andarcene» scrive Shakespeare in Re Lear. Ci può aiutare, afferma Holloway, la gratitudine per la vita contro l’avidità di volerne sempre di più. Ci possono aiutare la poesia e la musica: «la morte avrà la meglio su di noi alla fine, ma non potrà portarci via le nostre canzoni». Ma soprattutto: prima che sia troppo tardi riprendiamoci il nostro cuore. —
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