Il collezionista di trattori salva la memoria contadina
Delio ha 72 anni, vive nella Bassa e conserva una quarantina di pezzi . Tra i suoi tesori una "Imas" classe 1940

Escono dalla nebbia d'inverno come cinghiali, pronti a rivoltare le grave della Bassa. Muscoli a fior di pelle, garretti scattanti, grugno da facocero, la benna affamata di terra. Qualcuno ha il muso duro, come il "Belarus"; staliniano, monumentale, adatto ai campi di grano tra il Niemen e la Beresina. Altri hanno il carpace da insetto: vedi il "Minneapolis", giallo grillotalpa figlio del New Deal di Franklin D. Roosewelt, cavallo pazzo del Middle West imperlato di rugiada friulana, fermo tra le risorgive fra il Corno e i meandri dello Stella. Ma prima di loro ho incontrato lui, l'uomo che colleziona i trattori.
Foschiatti Delio, anni 72, mani come tenaglie e occhi azzurro cielo su un testone d'ariete. In una mattina grigia mi ha aperto la porta della sua casa sulla roggia del Mulino a Castello di Porpetto, cappello verde a tese larghe in testa, un bastardino nero e ipercinetico tra i piedi. Mi ha messo su un caffé a bollire e poi, zoppicando per un incidente antico, mi ha accompagnato qui, tra le sue creature, radunate sotto un capannone in cerata impermeabile. Uno straordinario museo a cielo aperto della civiltà contadina. Più di quaranta pezzi, e non è roba che sta ferma lì ad arrugginire Funzionano tutti. Aggiustati uno per uno in trent'anni di lavoro.
Capisaldi della meccanica prima che i "chip" rovinassero tutto. Cose come il mitico "Landini" a testa calda si accende con un fuoco sotto la pancia. O il tosto "Allgaier" carrozzato grigio, che lo metti in moto infilando una sigaretta in un buco apposito sotto il muso. Bestie che non si fermano mai. Il gigantesco mietitrebbia "Laverda", l'inarrestabile "Oto Melara" rosso fiammante del 1952, il verde "M.A.N. Ackerdiesel" postbellico, o il trattore "Ford" blu del 1940. Delio incassa 640 di pensione al mese e risolve la cosa dicendo: «La mia fortuna è stata di non avere soldi, così ho imparato a non buttare via niente. Quando vedo una cosa vecchia la riparo. E se trovo un pezzo di ricambio raro non riesco a trattenermi e lo compro, a costo di fare i salto mortali».
Sfiora con le manone gli ingranaggi leonardeschi di un vecchio mulino, ovviamente ricostruito da lui, e capisco che sono di fronte a qualcosa di più di un museo. Quello che ho davanti è un monumento alla manutenzione. Quella cosa la cui mancanza manda a remengo l'Italia da Pompei al castello di Miramare. Un anno fa l'uomo dalle mani d'oro s'era rassegnato a vendere o buttare via tutto. Non c'era nessuno nella Bassa capace di tenere in esercizio un simile patrimonio, o per lo meno metterlo al riparo dall'usura. Poi Foschiatti s'è accorto che c'era un posto che faceva per lui: l'azienda agricola regionale di Marianis e Volpares, dalle parti di Palazzolo dello Stella, dove - nonostante le difficoltà del settore - è in atto da mesi una bella scommessa imprenditoriale che mobilita le energie locali verso un ritorno alla terra dopo gli anni della svendita al privato e delle cattedrali nel deserto.
«Lì lo spazio c'è, ancora inutilizzato. E per la prima volta qualcuno mi ha dato ascolto». In certi momenti Delio sembra lui stesso un trattore, e l'idea di trasformare in un museo della terra il suo lavoro oscuro di una vita gli ha fatto riaccendere tutti i motori. «Ho sempre avuto coraggio - brontola con la voce stridula - ma il coraggio non basta se non hai qualcuno che ti dice bravo. Adesso l'ho trovato, e adesso chi mi tiene più» proclama. E mette una tovaglia bianca e rossa sul tavolo della cucina, con un mezzo formaggio e un salame intero da fare a fette per una merenda da affamati, con una bottiglia di rosso e pane bianco caldo di fornaio. Si frega le mani. «Ragazzi si torna all'attacco, facciamo una bomba». Lo sa perfettamente: memoria è dignità, non lamento. È premessa di rilancio. Vorrebbe dirlo ai politici che non si sporcano mai la scarpe. Assaggia una fetta di salame. «Non dovrei mangiare sta roba, non dovrei nemmeno bere... ma buon Dio, non mi va di morir a mone vie».
Guardo quest'uomo storpiato dalla vita e senza scuole, ma pieno di buon senso ed energia vitale, e penso alla differenza tra lui e i poetastri del D.o.c., i menestrelli di corte che non conoscono il letame e hanno ridotto il mondo contadino a coreografia di scorribande conviviali. Gli dico: senta, Delio, ma che diranno di questa cosa i friulani che passano le domeniche negli ipermercati? Che gliene frega a loro delle radici contadine? Risposta: «Intanto noi facciamo. Poi loro ci seguiranno. Bisogna andare avanti. Mai cedere... sempre duri!». Sbatte la manona sul tavolo facendo sobbalzare i bicchieri, e par di sentire i suoi cingoli in movimento. La grande marcia dei trattori del Nordest si farà. L'uomo dalle mani d'oro non ha dubbi. «Guai se aspetti che facciano gli altri. Fasin di bessoi, e io ho imparato a fare da solo. La fattaglia! La battaglia!».
L'officina, dovreste vederla. Una trebbiatrice "Imas" di Suzzara, gigantesca, classe 1940, da film di Bertolucci; un tagliafoglie per bachi, una sgranatrice per mais, un camion militare da montagna che ha fatto la guerra in Albania. E poi una foresta vergine di cinghie di trasmissione, taniche di olio da macchina, elettrodi, raccordi, differenziali, chiavi inglesi, tenaglie, batterie, gommini. Da perdersi. La casa che è stata mulino ora fuma, qualcuno ha messo su la polenta. Ora siamo in un film di Olmi; rumore di acqua sul salto della roggia e odore di legna da ardere e mais abbustolito. «Sint ce bon odor di blave», fa il gigante della Bassa. «Guarda qua - dice prendendo il gran turco appena macinato da un sacco - grana grossa giusta, fatta col mio mulino, mulino Foschiatti. Quando lo prepari, tu sintis ce perfum de polente, fin la vie».
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