“Il giorno in cui finì l’estate”: il collasso della Jugoslavia spazzò via l’infanzia di Jan
di Sebastijan Pregelj

Superman e Luke Skywalker di “Guerre Stellari”, e la fantasia del bambino Jan nella Slovenia degli Anni ’80 e ’90 non solo prende il volo, ma si spiega la lotta tra Bene e Male.
Attraverso i pupazzi tratti dai film, con cui Jan gioca, vengono scandite infanzia e prima giovinezza, fino a “Il giorno in cui finì l’estate” (Bottega Errante, pagg. 308, euro 18) che per Sebastijan Pregelj coincide con l’implosione jugoslava.
Un romanzo di formazione, che fa collimare il cambiamento epocale dell’assetto politico dei Paesi balcanici con l’ingresso nel mondo adulto. Il libro verrà presentato oggi, alle 17, nella nuova sede di Bottega Errante (via Pradamano 72 a Udine) dall’autore in dialogo con Anna Piuzzi e il traduttore Michele Obit, letture di Monica Masolo.
Jan, bambino riflessivo e introverso, registra i bisbigli del padre con lo zio Gorazd, ingegnere in una grande azienda statale slovena in contatto con l’esercito. Ma si capisce che, almeno per lui, tutto va per il verso giusto: i compleanni, i regali, i primi turbamenti per l’altro sesso, i nonni, gli acquisti nella vicina Trieste o in Austria.
I desideri legittimi di un televisore a colori e di una lavatrice di qualità per gli adulti, in una Slovenia ancorata a forti legami famigliari e dalle tradizioni ancora incontaminate dal feroce consumismo che li ha cannibalizzati oltreconfine dove imperversa.
È il momento di “Rambo”, non ancora arrivato sul grande schermo ma di cui si sente gran parlare, sogno proibito dei ragazzini.
Di “Guerre stellari” i pochi fortunati che lo hanno visto raccontano la trama e giocano di pomeriggio con gli amichetti, proiettando l’immaginazione al posto del film. Poi c’è il mondo reale, dove il pendolo oscilla tra buoni e cattivi, che non si spiega ma si accetta con determinismo.
La scuola con gli insegnanti irregimentati, e quel ritratto di Tito appeso nelle aule, che ovunque ti sposti ti segue con lo sguardo. Sarà onniveggente, si chiedono gli scolari, oltre che onnipresente?
Pregelj, nato nel 1970 a Lubiana, con raffinata misura racconta di sé attraverso l’alter ego, capace di non sopraffare la panoramica di Jan con una visione destinata a un pubblico adulto. Zero nostalgia, nessuna recriminazione, pura annotazione degli eventi. Con quel sottaciuto che rende di pagina in pagina l’aria gravida di attesa.
Ma è evidente che l’angolazione scelta è essa stessa una filosofia interpretativa. Dal basso dell’infanzia, quando si è ancora freschi e tenerelli, alla crescita scandita dall’incontenibile erosione dell’ordine conosciuto. Fino all’esplosione del disincanto con il servizio di leva tramutatosi dall’oggi al domani in un bagno di sangue dove, ben che vada, scorre il cinismo.
Pregelj dissemina di indizi la storia paradigmatica di Jan: non esistono solo i lontani eroi americani Superman e Luke Skywalker. Nella stanza di Elvis (titolo originale del romanzo), Jan sente parlare con entusiasmo di un altro mito, Sandokan, Tigre della Malesia. Il pirata che lotta con ogni mezzo per la libertà del suo minuscolo regno.
E si coglie nella famiglia musulmana macedone di origine turca, benché ben integrata, la prima faglia di quella diversità. Rivendicata e lungamente compressa, cova sotto le ceneri di una Jugoslavia multietnica piallata dalla quotidianità comunista. In questo tassello del romanzo di solida struttura, Pregelj simbolizza magistralmente la perplessità degli adulti.
I genitori di Jan, illuminati e tolleranti, niente affatto nazionalisti, e l’affetto accogliente del capofamiglia macedone Fikret che nel corso del tempo finirà per radicalizzarsi. Cosa ha provocato questo deragliamento? Solo le persecuzioni della gang del Calabrone, figlio bullo un agente della polizia segreta, verso gli “zingari”? Da soldato, Jan, quando le connotazioni xenofobe si sono saldate a un odio barbarico, registrerà crudamente l’infezione del tutti contro tutti: “Se è un montenegrino a colpire un serbo, non ci saranno brutte conseguenze.
Se fosse avvenuto il contrario, sarebbe comunque andata bene. Se invece un albanese avesse colpito un serbo o un serbo uno sloveno, be’, allora saremmo stati fottuti”. Ed è accaduto così che i destini individuali hanno finito per incrociare i drammi della Storia.
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