Il grande gioco di Henri Cartier-Bresson l’obiettivo dentro l’inconscio e il caso

Omaggio da domani a Palazzo Grassi al fotografo francese con cinque curatori: Annie Leibovitz, Javier Cercas, Wim Wenders, Sylvie Aubenas 

il percorso

Giovanna Pastega

Cinque personaggi e un “autore” straordinario che ha fatto la storia della fotografia del ‘900: questa la formula scelta per raccontare la vita, gli scatti, la passione e il lavoro dell’occhio del secolo, il fotografo francese Henri Cartier–Bresson, nella mostra realizzata a Palazzo Grassi a Venezia. In differita di quattro mesi, causa lockdown, finalmente domani aprirà al pubblico “Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu”, organizzata dalla Fondazione Pinault e dalla Bibliothèque Nationale de France in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson.

Per questo progetto espositivo sono stati chiamati cinque curatori di eccezione a selezionare ciascuno, secondo la propria personale “visione”, una cinquantina di immagini dell’artista tratte dalla sua “Master Collection”, la celebre selezione di scatti, chiamata anche Grand Jeu, operata dallo stesso Cartier-Bresson nel 1973 tra le proprie stampe a contatto, da cui uscirono le 385 immagini che il fotografo considerava le migliori e di cui esistono ora solo sei esemplari (una proprio presso la Pinault Collection).

Si potrebbe definire una sorta di racconto a più voci dell'opera del padre del foto-giornalismo, vista con gli occhi del collezionista François Pinault, della fotografa Annie Leibovitz, dello scrittore Javier Cercas, del regista Wim Wenders e della conservatrice Sylvie Aubenas.

«Il “gioco” del titolo - spiega Matthieu Humery, curatore generale della mostra - oltre a richia¬mare il tema della casualità, caro ai surrealisti, fa riferimento innanzitutto alla selezione compiuta dall’artista». Una mostra, “alla Cartier-Bresson”, tutta basata sulla moltiplicazione delle prospettive per cogliere ciò che il grande fotografo chiamava “il momento decisivo”, il solo a raggiungere con uno scatto l’eternità. A cimentarsi in primis con questo “gioco” proprio il collezionista François Pinault, che negli scatti di Bresson ritrova al contempo “l’intimo e il monumentale”.

Nel Grand Jeu la regola è proprio quella di mettersi in gioco, ritrovare se stessi nelle immagini “eterne” eppure così intimamente connesse al nostro tempo, che il grande fotografo francese è riuscito a immortalare “in movimento” lungo tutta la sua lunga carriera, iniziata negli anni ’30 e finita alla sua morte nel 2004. «Vedere le opere di Cartier-Bresson – spiega Annie Leibovitz - mi ha fatto venire voglia di diventare fotografa». Ecco allora emergere nella sua selezione il ritratto di Matisse (1944) o quella dell’uomo che tiene in alto un bambino con un braccio solo (1972) o ancora il ciclista con le stampelle che gioca con i compagni tra le rovine a Siviglia (1933).

Per lo scrittore Javier Cercas quattro sono gli elementi che hanno guidato le sue scelte all’interno della Master Collection: l’effetto che le foto di Cartier-Bresson esercitano su chi le guarda, l’accentuazione onirica del reale di matrice surrealista, la violenza delle guerre e infine la realtà spagnola che il fotografo ha indagato con particolare attenzione.

Decisamente autobiografica è stata invece la scelta del celebre regista Wim Wenders che nella sua selezione ha rivissuto il suo incontro con il grande fotografo: «Ricordo – confessa - l’unica volta in cui l’ho incontrato, a Parigi. Fu in occasione di una festa, alla fine degli anni Ottanta. (…) Quando tutti se ne stavano andando, lui si offrì di riaccompagnarmi in albergo. All’improvviso ci ritrovammo nella sua utilitaria, noi due soli. Lo guardai. Sembrava genuino, gentile, premuroso e anche un po’ fragile». A colpirlo nelle sue foto i tanti ritratti: ecco allora l’immagine di Jean-Paul Sartre scattata su un ponte della Senna con la pipa in mano o quella di Truman Capote giovane o ancora quella di Francis Bacon.

«Devo riconoscenza al surrealismo perché mi ha insegnato a scavare con l’obiettivo fra le rovine dell’inconscio e del caso» aveva confessato Cartier-Bresson. Per la conservatrice Sylvie Aubenas, proprio questa è stata una delle tracce con cui interpretare il grande fotografo. «Questo carattere inafferrabile – spiega - che coltiva con piacere apparenti paradossi, ha costruito un’opera fotografica splendida per leggerezza, empatia, umanità, umorismo e, con la sua Leica incollata all’occhio, ha attraversato oltre quarant’anni del XX secolo e della storia della fotografia».

A completare l’offerta espositiva – post lockdown - della Fondazione Pinault, sempre a partire da domani, a Palazzo Grassi anche “Once Upon a Dream”, la prima grande retrospettiva con 120 opere dedicata all’artista egiziano Youssef Nabil. A Punta della Dogana immancabile, come da tradizione, la mostra collettiva di giovani artisti, quest’anno intitolata “Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi”.

Tutte le esposizioni resteranno aperte sino a marzo 2021.

Per il prossimo anno a Punta della Dogana è già prevista la mostra “Bruce Nauman: Contrapposto Studies” dedicata al grande artista americano vincitore del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2009. Palazzo Grassi invece sarà in restauro per quasi 7 mesi. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo