Il Medioevo spietato narrato da Ridley Scott nel “duello di Dio”

Matt Damon e Ben Affleck in coppia alla sceneggiatura L’eburnea Jodie Comer interpreta l’infertile Marguerite
Paolo Lughi



Il tema del duello dei tempi antichi sembra appassionare Ridley Scott: proprio con l’800esco “I duellanti” il regista inglese debuttò nel 1977. “Basato su fatti avvenuti” recita una didascalia iniziale di “The Last Duel”, e infatti il re francese Carlo VI autorizzò davvero “il duello di Dio” che oppose il 29 dicembre 1386 due valorosi capitani, un tempo amici e poi nemici giurati: il rude Jean de Carrouge (Matt Damon) e il colto Jacques Le Gris (Adam Driver).

Il motivo del contendere? Le Gris fu accusato dalla moglie di de Carrouge, la bella e fino ad allora infertile Marguerite (l’eburnea Jodie Comer), di essere stata stuprata nel suo castello durante l’assenza della servitù. Accusa doppiamente rischiosa, per quei tempi: nel caso de Carrouges fosse rimasto ucciso “per volere di Dio” nella singolar tenzone, anche la sposa, a quel punto considerata responsabile di una menzogna, avrebbe fatto una brutta fine, esposta nuda e messa al rogo.

La vicenda, controversa, in seguito fu commentata anche da Diderot e Voltaire. Ma il regista britannico, appoggiandosi a un copione scritto da Nicole Holofcener, Matt Damon e Ben Affleck (questi due sceneggiatori in coppia dopo 20 anni da “Genio ribelle”), la usa per impaginare un raffinato e insieme rude kolossal in costume alla maniera di “Rashomon” (1950). Come in quel capolavoro giapponese (rifatto più volte, pure in chiave western), ci sono più punti di vista, uno per capitolo, su quella violenza carnale. Il quesito morale è: chi dice la verità?

Il film, in un clima fosco e invernale ben reso dalla fotografia di Dariusz Wolski, dà il meglio di sé e riesce a sorprendere nel terzo movimento, quando parte “la versione di Marguerite” e gli eventi ci appaiono sotto una luce diversa, più ambigua e femminile, anche dolente, quasi espressione di uno strano gioco del destino, con una probabile allusione al “MeToo” contro il potere assoluto dei maschi. —





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