Il mentalista De Luca al Rossetti «La mia memoria è un museo»

«Chiedo scusa per l'appuntamento mancato. Avevo un mal di testa fortissimo». Lo dice come se dovesse farsi perdonare qualcosa. Ma per Vanni De Luca - che è un mentalista - il mal di testa è come la martellata sul dito di uno che suona il pianoforte. Come la distorsione del piede per l'atleta che corre la maratona. Un incidente e un accidente professionale.
Dire mentalista è facile. Più complicato è spiegare chi è, cosa fa, chi usa la mente per professione. Chi del proprio cervello fa uno strumento, un utensile.
Trieste conosce bene Vanni De Luca. Il suo spettacolo al Teatro Bobbio, "Prodigi" era servito tre anni fa a spargere la voce. A far sì che la città parlasse di una mente fuori dell'ordinario. Un anno fa il mentalista è tornato alla Sala Bartoli del Rossetti, con un titolo costruito apposta per lui, in questo caso anche attore oltre che prodigio mnemonico. In "Valzer per un mentalista" a sintonizzarsi sulle onde del suo cervello c'erano anche Romina Colbasso e Andrea Germani.
Tutti e tre, ora sono di nuovo in scena. O meglio: su una quelle inedite ibride scene a cui ci costringe da un anno la pandemia. In un allestimento che, alla lettera, è "sperimentale", il "Valzer per un mentalista" torna in live streaming interattivo con il pubblico. Da casa lo spettatore può scoprire e partecipare a un teatro che sta sulla frontiera di tecnologia e invenzione. L'esperimento si replica fino al 31 gennaio e il biglietto si acquista online dal sito del Rossetti (ed è pure conveniente).
Per noi, gente comune, il mal di testa è un fastidio. Per un mentalista invece è un incidente grave.
«Ogni tanto la cefalea si ripresenta. Succede se sforzo troppo la mente».
Far lavorare il cervello è una professione usurante.
«Non mi sento a mio agio nella definizione di mentalista. Dal punto di vista storico è corretto. Nei secoli passati c'erano performer in grado di fare cose strabilianti con la mente. Gente che si allenava in maniera compulsiva, o persone dotate per natura di una grande capacità di ricordare. Poi sono venute serie televisive e spettacoli durante i quali certi illusionisti dichiarano di saper leggere nel pensiero. Salvo poi scendere dal palco e vendere al pubblico manuali e corsi grazie ai quali, dicono, anche persone qualsiasi potrebbero ottenere gli stessi risultati».
Come i venditori di padelle magiche nelle fiere.
«Togli il velo, e scopri che sono fandonie».
Sviluppare la memoria è un'altra cosa. Com'è fatta la sua?
«Come un palazzo meraviglioso. Così come l'immaginavano i maestri dell'ars mnemonica classica: Cornificio, che la descrisse in un'opera scritta quasi un secolo avanti Cristo, poi Cicerone, Quintiliano. La mia memoria è un grande museo nel quale, in luoghi precisi, deposito ciò che voglio ricordare. Lo sfondo, la cornice servono a esaltare e a precisare il ricordo. Non c'è niente di magico, solo una tecnica precisa».
Quando ha scoperto tutto ciò?
«Quando un amico, Mariano Tomatis, studioso di questi problemi, una decina di anni fa, mi ha fatto conoscere quelle opere e mi ha raccontato le imprese di Harry Kahne, maestro del multitasking. Riusciva a scrivere contemporaneamente cinque frasi su cinque lavagne diverse, usando le mani, i piedi, la bocca con i gessetti. Avrebbe desiderato che qualcuno traesse ispirazione dai suoi spettacoli. Non ce l'ha fatta: è scomparso nel 1955. Ispirato da quelle mirabili imprese, ho iniziato a allenare il mio cervello. Lentamente ma inesorabilmente. Con metodo».
A scuola sarebbe potuto passare per un genio.
«All'esame di maturità, invece, sono stato congedato con un deplorevole 66/100 e un diploma di perito elettrotecnico. Ma ero bravo nella programmazione logica. La logica serve a creare i palazzi della memoria. La creatività aiuta a mettere le opere più belle nel posto giusto e poterle così ricordare. Aristotele parlava di 'topoi', cioè di luoghi. Io dico che bisogna muoversi seguendo i puntini numerati del ricordo. Come nel disegno nascosto della Settimana Enigmistica».
Neuroscienze e avanzamento tecnologico aiutano la memoria?
«Memoria umana e memorie artificiali hanno sempre convissuto. Chissà che cosa avranno pensato i monaci benedettini, che vivevano copiando i libri, di quel diabolico sostituto di memoria inventato da Giovanni Gutenberg: la stampa. Oggi come allora la memoria è un ibrido». —
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