Il populismo 2.0 nasce dalla rabbia e scatena solo la guerra fra poveri

Il populismo, quel fenomeno politico (ma sarebbe meglio dire antipolitico) che tende a sedurre le masse offrendo risposte semplici a problemi complessi, non è nato oggi, ma si lega ai primordi della vita urbana. Già il codice di Hammurabi, quattromila anni fa, era uno spot pubblicitario ante litteram, secondo la definizione di Danilo Ceccarelli Morolli, studioso di diritto antico. Risalendo nel tempo, Platone contestava il compromesso fondato sulla parola (seduttiva) tra demagogo e popolo e nella Roma repubblicana Cicerone si oppose alle leggi frumentarie volute dal ‘populista’ Tiberio Gracco, che voleva sì assegnare le terre del latifondo pubblico ai proletares, ma che così facendo avrebbe svuotato le casse dello stato.
Ma quella che sta conquistando sempre nuovi territori elettorali, è la versione aggiornata e corretta del populismo, il suo upgrade 2.0, secondo il sociologo Marco Revelli. Nel suo ‘La politica senza politica’ (Einaudi, 224 pagg. 14 euro), Revelli ricostruisce con la chiarezza apprezzata già in ‘Finale di partito’ e ‘Poveri, noi’ questo sommovimento che si è messo in moto nel corso dell’ultimo trentennio. Tre decenni nel corso dei quali progressivamente si sono lacerati l’ordine politico post bellico basato su fabbriche, amministrazioni pubbliche e partiti di massa e si è assistito alla sconfitta sociale del lavoro, alla sua cancellazione dall’orizzonte pubblico.
Messe in fila le tessere, quello che resta sul tavolo è un mondo irriconoscibile in cui dominano flessibilità e velocità. Il colpo di grazia è stata la crisi del ceto medio, lo zoccolo duro su cui si era fondato l’equilibrio delle società del dopoguerra, elogiato perfino da Euripide come spina dorsale della polis. L’abitante di questa società ‘liquida’, frustrato per aver perso il lavoro, i punti di riferimento, i sistemi di protezione e di mediazione sociale, impaurito dal sentirsi in bilico su un terreno inclinato verso un futuro incerto, oscuro se non minaccioso, ha un unico grumo saldo dentro di sé che lo tiene ancorato al mondo, la sua rabbia. È da qui, dalla rabbia e dall’invidia verso chi ancora possiede quelle certezze che lui ha perso, che questo individuo ha iniziato il suo viaggio per approdare tra le braccia del sempiterno demagogo che, dopo avergli descritto il mondo diviso in due categorie, i pochi privilegiati e i tanti esclusi, lo seduce con la promessa di distruggere quel mondo.
Per metterci che cosa? Qui casca l’asino populista, il vuoto di prospettiva, l’assenza di politica. Il palazzo d’inverno da conquistare non c’è. Rimane la guerra fra poveri che si spartiscono le briciole. —
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