Il razzismo rimosso delle “Pagine nascoste”

Oggi all’Ariston di Trieste si presenta il documentario diretto da Sabrina Varani

Un viaggio in Etiopia sulle tracce della colonizzazione italiana, per scrivere un romanzo ma anche per scoprire la storia segreta della gioventù fascista di suo padre: è il percorso compiuto dalla scrittrice Francesca Melandri, figlia del giornalista Franco Melandri, nel documentario “Pagine nascoste” diretto da Sabrina Varani. Il film verrà presentato questa sera alle 18 al Cinema Ariston alla presenza della regista, che l’anno scorso ha lavorato a Trieste sul set del film “Sembra mio figlio” di Costanza Quatriglio e si è tanto innamorata del posto tanto da prendere casa in città. L’incontro sarà moderato da Luca Manenti dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Fvg. “Pagine nascoste” è un’indagine sul passato coloniale italiano che incrocia la percezione collettiva del fascismo e un’emblematica storia privata. Tutto parte dalla scoperta di Francesca Melandri di un articolo col quale, nel 1940, il padre Franco aveva vinto i Littoriali: era un pezzo che affermava convintamente la superiorità della razza bianca, inserito poi in un volume con prefazione di Lidio Cipriani, l’antropologo che lavorò in Etiopia e si pronunciò per la difesa della razza. Melandri invece in Etiopia non ci andò mai, ma è lui a ispirare il protagonista del libro della figlia “Sangue giusto”, edito da Rizzoli. Dopo la guerra, il passato fascista e razzista di Franco era stato rimosso dalla memoria di famiglia: «Francesca non ha scoperto di avere un padre torturatore o assassino, ma un uomo con una storia che corrisponde a una grande maggioranza di italiani: quelli che dall’oggi al domani hanno steso un velo sul loro passato fascista, senza mai elaborarlo», spiega la regista. E senza mai domandarsi davvero cosa significò il colonialismo italiano in Africa. A raccontarlo nel film è anche la pittrice Aster Carpanelli, di madre etiope e padre friulano, che testimonia cosa significava venire da due culture differenti. Parte di queste interviste sono finite nel romanzo di Melandri: per questo scrittrice e regista si sono spinte ad Addis Abeba raccontando anche l’eccidio di partigiani etiopi e delle loro famiglie nella Grotta Zeret, dove si erano rifugiati in più di 5000. Oggi, però, il clima è disteso: «Dopo la guerra molti italiani, che avevano attività commerciali e creato relazioni, sono rimasti lì», dice la regista. «Alla fine dell’occupazione l’imperatore Hailé Selassié invitò i cittadini a non fare ritorsioni contro gli italiani. Ci sono ancora luoghi di Addis Abeba in cui questa presenza si sente molto, come il circolo Juventus Club che è ancora un pezzo d’Italia. Incredibilmente, gli etiopi non hanno particolare risentimento verso gli italiani. Certo, i vecchi partigiani etiopi erano scandalizzati per la costruzione del mausoleo al generale Rodolfo Graziani». Il processo di elaborazione di quegli anni, insomma, non è ancora terminato. Lo sintetizza bene nel film il partigiano Massimo Rendina, intervistato poco prima della sua morte: «È mancato il processo alle idee, più che alle persone. Il fascismo non era un movimento politico, ma una mentalità».

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