Il Tevere e il Tagliamento lungo i fiumi controcorrente tra storia antica e attualità

la recensione
“Vista da qui, dalla foce dove muore il Tevere, l’Italia è in decomposizione”. Il viaggio di Marzio G. Mian compiuto risalendo il Tevere comincia dalle sponde dove approdò il pio Enea, tra conigli putrescenti e spazzatura. A distanza di duemila anni ce ne vuole tanta di pietas per risalire il fiume sacro ai Romani, nel groviglio di una Capitale di strade ingorgate, treni scassati di pendolari, baracche e malavita. Mian non di tira indietro. “Ho disceso e risalito molti fiumi, perché non sono di moda, così abbandonati dall’essere esotici, mondi stranieri sconosciuti tutti da esplorare e raccontare quasi fosse per la prima volta, avventura pura”. D’altronde se ha chiamato suo figlio Tiberio e gli ha dedicato ‘Tevere controcorrente’ (Neri Pozza, 285 pagg., 14,50 euro) Mian, friulano di Maniago, giornalista collaboratore di riviste e giornali, autore di reportage, non può tirarsi indietro.
I fiumi sono musei di storia. Secoli e secoli di splendore ci spiano dalle rive del Tevere con lo sguardo impenetrabile di un romano o di un etrusco immobile nella sua toga di marmo, un mondo prodigioso, ricco e arcano. Lo si scopre per esempio ad Alviano, in Umbria, dove le dighe costruite sul fiume hanno creato meravigliosi laghi artificiali. Un luogo premoderno, come diecimila anni fa. Non a caso qui un paio di anni fa hanno girato ‘Il primo re’, film sulla nascita di Roma, parlato in protolatino. I corsi d’acqua, sostiene Mian, non sono unicamente le vie di restituzione delle acque piovane al mare, di cui parlano i vecchi testi di geografia, sono delle realtà viventi. Con le loro gole incassate, i vasti delta, le rapide ribollenti, la vegetazione che fanno nascere sulle loro sponde formano un mondo diverso, suggeriscono prospettive privilegiate per interpretare fenomeni ed eventi, per cogliere i sintomi del cambiamento. Così, durante il periodo in cui infiammava il dibattito sulla Brexit, Mian ha disceso il Tamigi per indagare il ritorno dell’Englishness, lo spirito identitario fondato sull’eccezionalismo inglese; poi ha seguito il corso del Mississippi, fiume del granturco, del cotone e del tabacco e dei battelli a ruota, fiume che lavora al canto degli spirituals, viaggiando lungo la Highway 61, la via Appia americana, lunga settecento chilometri, che ha ispirato Mark Twain e William Faulkner.
I fiumi sono un potente magnete di storie, per questo negli ultimi tempi si sono moltiplicati i reportage intorno ai corsi d’acqua. Viaggiatori curiosi, colti o sognatori si sono fatti sedurre dalle mille possibilità che i corsi d’acqua offrono al racconto. Cristina Noacco ne ‘I segreti del Tagliamento’ (Ediciclo, 140 pagg., 15 euro) fa compiere alla sua protagonista, Alba, un cammino controcorrente, a piedi e in bicicletta, lento, tra soste e digressioni lungo il corso di quello che per Furio Honsell non è un fiume del Friuli, è ‘il Friuli’. Alba (che immaginiamo altera ego dell’autrice, docente di letteratura medievale all’università di Tolosa) si dà un compito, raccogliere un sassolino sulla foce del fiume per riportarlo alla sorgente, in un gesto che trasporta il suo cammino in una dimensione simbolica che sa di ricomposizione.
Bevazzana, Latisana, Casarsa, Varmo: in un andare senza fretta, di là dal fiume e tra gli alberi, Alba risale il fiume che ha modellato l’anima del Friuli, dandogli pietre per costruire le sue case e le sue chiese, acqua per dissetare i suoi raccolti e, ponte dopo ponte, incontro dopo incontro, arriva al passo della Mauria.
Lassù si abbevera alla sorgente, posa il sassolino e salda un debito con la sua terra.
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