In casa d’altri, con la prosa a piccoli atolli di Silvio D’Arzo

Matteo Cellini è nato nel 1978 a Urbino. Lavora come docente di letteratura in una scuola media. Ha esordito nel 2010 con il racconto “Cate-io” che ha ottenuto il Premio Subway Letteratura, mentre il...

Matteo Cellini è nato nel 1978 a Urbino. Lavora come docente di letteratura in una scuola media. Ha esordito nel 2010 con il racconto “Cate-io” che ha ottenuto il Premio Subway Letteratura, mentre il romanzo tratto dal racconto, ha vinto il Premio Campiello Opera Prima nel 2013. Nel 2016 ha pubblicato “La primavera di Gordon Copperny jr.” (Bompiani) ed è appena uscito l’ultimo “I segreti delle nuvole” (Bollati Boringhieri) nella collana diretta da Andrea Bajani. Si tratta di un romanzo di formazione sostenuto da una scrittura chiara, nel suo preciso valore di ricerca, tesa a un’evocazione (anche) lirica, la cui idea portante è una sorta di inter regno tra cielo e terra, lì dove i bambini attendono di nascere. Il suo consiglio va a un narratore che ha la capacità di sintesi della poesia: «“Casa d’altri e altri racconti” (Einaudi) è scritto in un altro modo. La scrittura di Silvio D’Arzo (uno degli pseudonimi di Ezio Comparoni) è diversa: è arrembante e circolare come lo sono le onde; ha la forza - non vi dico una bugia - di un refrain che non riesci a toglierti dalla testa, che non se ne va a lettura ultimata, che si insinua tra le tue cose e lo ritrovi in una mail di lavoro, in un post su Facebook, in una frase che dici. È meravigliosamente infestante, contagiosa questa scrittura. Eccone un esempio: “Così mi lasciai indietro le case e lo stagno, e poi la locanda, e poi camposanto e torbiera, e dopo un poco ero solo, e attorno a me non c’erano che gole e calanchi e più in là qualche pascolo e più in là ancora il costone dei monti”. D’Arzo usa anche la punteggiatura in un altro modo. Soprattutto i due punti: non spiegano se non di rado infatti, anzi quasi mai; funzionano come cornici e come cesure tra versi, piccoli atolli dove il fiato riposa un istante; somigliano a mani che scostano il folto dell’erba per mostrare un sasso, e poi su quel sasso: una crepa. Eccone un esempio. È l’incipit di uno dei racconti: “È passato del tempo. Mio padre è morto: Giovanna è morta: Davide è, a modo suo, un felice ragazzo”. Lo trovo un incipit bellissimo».



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