In Loro 2 la maschera dell’Italia

C’è la fine dell’edonismo nella seconda parte del film di Sorrentino dedicato a Berlusconi

A poca distanza dalla prima arriva al cinema la seconda parte di “Loro”, il film su Silvio Berlusconi firmato da Paolo Sorrentino, che chiude tutte le porte aperte nel primo capitolo uscito il 24 aprile.

Più che il racconto di un personaggio politico, “Loro” è il ritratto del pezzo d’Italia prodotto proprio dal berlusconismo e preso tra il 2006 e il 2010, tra l’inizio del bunga-bunga e il terremoto de L’Aquila, con in mezzo la separazione tra Silvio, interpretato da Toni Servillo, e la moglie Veronica Lario (Elena Sofia Ricci) e il ritorno al governo nel 2008.

I “loro” del titolo sono infatti i protagonisti della nutritissima corte che ha attorniato Berlusconi o che ha sognato di emulare la sua vita luccicante, come la larga fetta di italiani che ha specchiato in Berlusconi il proprio sogno del successo con le donne, soldi, fama. Anche se Sorrentino specifica nel pressbook che si tratta di “un racconto di finzione, che narra di fatti verosimili o inventati”, nei personaggi del film si ritrovano facilmente i corrispettivi reali che li hanno ispirati, anche quando il nome è modificato.

Ci sono quindi Santino Recchia (Fabrizio Bentivoglio) che si rifà a Sandro Bondi, Sergio Morra (Riccardo Scamarcio, fra i più bravi) ispirato a Giampaolo Tarantini, l’uomo che organizzava le feste con ragazze nella villa sarda di Berluconi, e Kira (Kasia Smutniak), che sembra riferirsi all’attrice Sabina Began, l’ “ape regina” delle amanti del presidente.

E poi politici sodali e altri pronti a saltare sul suo carro, lacché in cerca di favori e decine di “olgettine”, le ragazze che partecipavano in massa alle sue “cene eleganti” in cambio di lauto compenso o una particina in una fiction: tutta una corte adorante, e quasi fiera della propria piaggeria, che pare affascinare Sorrentino quasi più di Silvio. Nei film di Sorrentino, in particolare “Il divo” su Giulio Andreotti, “La grande bellezza” da Premio Oscar e la serie “The Young Pope” su un Papa immaginario, il potere è sempre legato alla decadenza. Tra questi titoli, “Loro” è forse il meno riuscito e innovativo. Tuttavia, quello di Sorrentino resta sempre un cinema visionario e affabulatore che merita il biglietto e ha la sua forza nella trasfigurazione, non tanto quella delle metafore evidenti (come la pecora stroncata dall’aria condizionata a Villa Certosa) ma quella meno esibita, come il lungo, commovente aggirarsi tra le case sventrate de L’Aquila dopo il sisma, definitivo crollo di qualsiasi edonismo.

Servillo, con cerone e parrucchino, riesce nell’impresa titanica di rappresentare un uomo che ha fatto di se stesso un’icona del pop, e fa anche spesso ridere. Se è vero che “Loro” ha un appeal soprattutto per il pubblico italiano, che può incuriosirsi nel gioco dei riconoscimenti, la controversa maschera di potere che Berlusconi incarna ha valenze internazionali e riesce quasi a diventare allegorica. Anche perché il Berlusconi di Sorrentino, un po’ guascone e un po’ stratega, un po’ megalomane e un po’ fagocitato dal suo stesso ego, alla fine rimane un mistero: “Non ti riveli mai, sei una lunga messa in scena”, gli dice Veronica in procinto di lasciarlo. Al regista va bene così: voleva raccontare l’uomo, non il politico, tentare di immaginare la sua coscienza in quei giorni concitati. Lo fa con una certa vicinanza umana, senza pensare troppo alla cronaca dei fatti.

Del resto, come dice Silvio al nipotino, «Una verità è frutto della forza e della convinzione con cui la diciamo».

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