In un film vita e misteri di Vittorio Vidali il comunista anti-Tito

la recensione
È stato l’uomo di fiducia di Stalin in Messico, in Spagna e a Trieste. Ha organizzato il Quinto Reggimento, l’asse portante della Brigate internazionali che si opposero a Francisco Franco e alla truppe fasciste e naziste che sostenevano il caudillo. Ha difeso con le sue iniziative negli States la vita degli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, condannati alla sedia elettrica per un omicidio commesso da altri. Ma ha anche contribuito in Spagna al massacro di centinaia di anarchici che si opponevano alla linea politico–militare dettata da Mosca. Ha sparato, organizzato manifestazioni, complotti e attentati agendo in nome del comunismo e di Mosca. Lo ha fatto fino ai primi anni Cinquanta, quando in conseguenza della rottura tra Stalin e Tito, il leader di Belgrado fu al centro di un progetto del Kgb teso a eliminarlo fisicamente.
Vittorio Vidali è stato il protagonista di questi momenti caldi della politica dei “blocchi” ma anche di molte altre iniziative che hanno segnato almeno quarant’anni di storia mondiale. Una storia spietata, costella di morti, tradimenti, guerre, omicidi, processi farsa e sacrifici immensi spesso compiuti in nome della ragione dello Stato sovietico e di un comunismo internazionalista mimetizzato da alfiere della “libertà dei popoli”.
Al “Comandante Carlos” ora è dedicato, a 36 anni dalla sua scomparsa a 83 anni di età, un film–inchiesta zeppo di interviste e di documenti spesso inediti tratti da numerosi archivi. La pellicola sarà presentata in anteprima oggi al Biografilm festival di Bologna. Lo “sbarco” nel Friuli Venezia Giulia avverrà invece fra alcuni mesi nell’ambito delle proiezioni fuori concorso del Trieste – Film Festival.
Il titolo della pellicola della durata di quasi due ore è: “Vittorio Vidali, io non sono quello che fui”. L’ha firmata Giampaolo Penco della casa di produzione “VideoEst” che si è avvalso delle ricerche e della partecipazione diretta sullo schermo dello storico Patrick Karlsen di cui a breve uscirà una biografia sullo stesso “comandante Carlos”, edita dal “Mulino”. Per realizzare il film sono state intervistate decine di persone che hanno conosciuto Vittorio Vidali perché hanno militato nel movimento comunista o si sono avvicinate a lui e ai numerosi suoi libri per ragioni politiche, professionali e umane. Tra essi Massimo Dalema, Emanuele Macaluso, Toni Negri, Giovanni Cervetti, Giorgio Rossetti e Claudio Magris.
La quantità di notizie che Giampaolo Penco e Patrick Karlsen hanno fatto emergere nel film non chiudono la “questione Vidali”; al contrario creano nuovi scenari meritevoli di ulteriori approfondimenti. Tra questi si pone con evidenza la lotta spietata che oppose tra il 1948 e la metà degli Anni Cinquanta proprio a Trieste molti compagni che avevano combattuto e sofferto nella Resistenza e nella guerra di Liberazione. Da una parte erano schierati i comunisti stalinisti, capeggiati da Vidali, dall’altra i filo jugoslavi che guardavano con favore allo “scisma” del maresciallo Tito.
Marina Rossi, storica del movimento operaio, racconta nel film questa contrapposizione tra stalinisti e filo jugoslavi: «Ricordo di aver intervistato un operaio, ex partigiano slavo, il quale solo a sentire il nome di Vidali stava male. Non parliamo di ciò che ho saputo da altri partigiani sulle spedizioni punitive sul Carso, a Prosecco. Le sezioni comuniste la cui linea era ancora filo–titina dovettero sopportare botte da orbi da parte degli scherani incaricati di riportare l’ordine. Se il comandante Carlos doveva picchiare, picchiava molto forte e su questo è rimasto un silenzio terrificante finché Vidali ha vissuto».
Del tutto sovrapponibile la testimonianza dello storico Jože Pirjevec: «Si preparavano agguati tentando di uccidersi tra sloveni filo titini e filo stalinisti. Questa vicenda lacerò la comunità slovena e lasciò tanto dolore e una scia di rancori, tanto che ancora oggi la gente preferisce non parlarne». Nel film non gettano acqua sul fuoco anche le parole di Giorgio Rossetti, segretario del Pci in via Capitolina ed europarlamentare per lo stesso partit: «Vittorio Vidali è stato il primo a dire che Trieste non è stata liberata il primo maggio 1945 dall’Armata popolare jugoslava, ma è stata occupata». L’analogo concetto espresso poche settimane fa in una conferenza dedicata alla cultura slovena, ha suscitato ampie proteste da parte di un buon numero di partecipanti. Il problema dunque non sembra risolto nemmeno a 74 anni dalla fine della guerra.
Ma ritorniamo a Vidali. A Giorgio Pressburger, il regista e scrittore scomparso un anno e mezzo fa, il comandante Carlos faceva paura o almeno suscitava diffidenza: «Quando ho conosciuto meglio la sua storia -racconta nel documentario -, provavo un brivido di freddo quando lo vedevo, perché pensavo alla morte di Tina Modotti». Tina Modotti, la fotografa udinese trapiantata a Hollywood e morta misteriosamente a Città del Messico il 5 gennaio 1942, è stata per lungo tempo la compagna di vita di Vidali che – secondo Massimo Dalema – l’aveva anche reclutata per i servizi segreti sovietici.
Secondo Diego Rivera, il famoso pittore comunista messicano, Tina sarebbe stata assassinata proprio da Vidali «perché sapeva troppo su 400 esecuzioni capitali avvenute durante la guerra di Spagna». La notizia non ha mai trovato conferma, anzi è stata ampiamente smentita perché la fotografa rivoluzionaria sarebbe stata colpita a un infarto. —
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