Indagando su morti e scomparsi gli investigatori italiani scavano nel proprio animo

Indagare sulle vite degli altri porta il buon investigatore a guardare dentro di sé. E scoprire tensioni e passioni, un’inquieta curiosità ma anche, talvolta, torbidi pensieri. L’esistenza umana non è mai lineare. Lo racconta Pietro Fenoglio, anziano maresciallo dei carabinieri, protagonista di “La versione di Fenoglio” di Gianrico Carofiglio (Einaudi, pagg. 170, euro 16,50): una straordinaria conversazione con un ragazzo, Giulio, su indagini e conoscenza, inclinazione diffusa alla menzogna, apparenze ingannevoli e realtà disvelate, sorprendenti, dolorose. Il procedimento dell’inchiesta giudiziaria è come quello della ricerca scientifica: nessun pregiudizio, tesi da montare, smontare e rimontare. Per cercare appunto quella verità che “ha a che fare con la dignità di essere donne e uomini di fronte al caos dell’universo”. Così si sconfigge, quando si può, il cuore di tenebra.

Spesso, è un cuore metropolitano. Su cui scende lo scandaglio di Alessandro Robecchi in “Tempi nuovi”, (Sellerio, pagg. 336, euro 15,00). Si comincia con un morto, un ragazzo apparentemente perbene, giustiziato alla periferia di Milano. Si continua con la scomparsa di un professore. S’intuisce un gran giro di denaro sporco. Su cui indagano Carlo Monterossi, autore “pentito” di trasmissioni trash in tv, una coppia di investigatori privati e una squadra di poliziotti ostinati, Ghezzi e Carella. C’è una donna del mistero, Gloria Grechi. E si scende agli inferi d’una Milano “nera” che “nuota su un mare di soldi, coca, puttane, usura, scommesse” e in cui “è tutto mischiato, brave persone che diventano delinquenti, occasioni che diventano tentazioni irresistibili”. Altro che glamour: “Una volta il crinale tra guardie e banditi, tra bene e male, era sottilissimo, una lama, e ora è un sentiero di montagna, larghi abbastanza da passarci agevolmente, e lo percorre anche gente normale, perbene... Lo fanno tutti, girano un sacco di soldi e sto fuori solo io?”. Talvolta si muore. Talvolta il crimine paga. E l’inquirente mastica amaro.

Si indaga, comunque. Cercando di fare coincidere ragione e istinto. Come si racconta in “Le parole di Sara”, l’ultimo romanzo di Maurizio de Giovanni (Rizzoli, pagg. 350, euro 19,00) secondo libro centrato sulla figura di Sara Morozzi, “la donna invisibile”, ex agente dei Servizi segreti, che l’autore definisce “lo svelamento delle mascherature”. Sara, donna tormentata, che ha lasciato la famiglia e un bambini di otto anni per seguire la storia d’amore della vita. Sara, investigatrice discreta e implacabile, innanzitutto con se stessa. Sara che, colpita da una sequela di lutti (l’uomo amato, che era anche il suo capo, il figlio mai più visto per vent’anni e ritrovato sul tavolo dell’obitorio), scopre d’essere nonna e di avere la forza per poter ricominciare a vivere. La storia è legata alla scomparsa d’un giovane ricercatore, amante di Teresa, l’ex amica e collega di Sara, diventata capo dei Servizi. Gli intrecci investono politica, criminalità mafiosa, abissi dei social network. Indagare è anche saper guardarsi dentro. A dare una mano d’aiuto, c’è Andrea, ex archivista di talento, cieco e capace di vedere cose che altrui non scorgono: un omaggio a Camilleri e ai suoi legami con Tiresia. Che occhi servono, per andare in fondo nel buio del cuore?

Vite incrociate, vite intrecciate, vite sconvolte da un piano criminale. Raccontate con sagace ironia proprio da Andrea Camilleri in “Km. 123”, un “giallo” Mondadori (pagg. 154, euro 15,00) che, accanto alle opere di altre “grandi firme”, Edgar Wallace, S. S. Van Dine, Renato Olivieri e Fruttero & Lucentini (con il loro capolavoro, “La donna della domenica”) rilancia la famosa collana di racconti polizieschi. Tutto comincia con un incidente stradale che si rivelerà come tentato omicidio. Si continua con una sarabanda di amori clandestini, affari immobiliari illegali, ricatti, vendette e, naturalmente, un paio di morti misteriose. E un ispettore di polizia, tanto lucido quanto il suo capo è stupido, scopre che... La fine non si svela. L’innocenza, anche se apparentemente solida, non abita affatto qui.

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