Inge Morath, obiettivo sui “confini” del mondo Il marito Arthur Miller: «Lì la sua vita interiore»

Alla Casa dei Carraresi di Treviso la prima grande retrospettiva italiana dedicata alla fotografa dell’agenzia Magnum, di madre slovena 
USA. New York City. 1957. A Llama in Times Square.
USA. New York City. 1957. A Llama in Times Square.

il personaggio



Tra le prime donne a lavorare con la celebre agenzia fotografica Magnum, ha girato il mondo realizzando reportage per conto di riviste quali “Paris Match”, “Holiday”, “Saturday Evening Post”, “Vogue”, “Life”. Collaboratrice di fotografi come Ernst Haas e Henri Cartier-Bresson, Inge Morath ha ritratto personaggi famosi e non, alte cariche dello stato, scrittori, artisti come Pablo Picasso, Alberto Giacometti, Alexander Calder, Doris Lessing, Philip Roth, Audrey Hepburn e colui il quale divenne il suo secondo marito: Arthur Miller. Alla Casa dei Carraresi di Treviso è attualmente allestita la prima grande retrospettiva italiana dedicata a questa straordinaria fotografa, curata da Brigitte Blüml Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz, con una selezione di 170 scatti e decine di documenti.

Nata a Graz nel 1923 da madre slovena e padre tedesco, entrambi scienziati, nel 1930 si trasferisce con la famiglia prima a Darmstadt e poi a Berlino, dove studia lingue all’Università. Dopo la seconda guerra mondiale fa ritorno in Austria, a Vienna, e inizia a lavorare come traduttrice e giornalista. Per la rivista “Heute” scrive i testi per i reportage di Ernst Haas; nel ‘49 Robert Capa invita sia Inge che Ernst a unirsi alla Magnum. Due anni dopo Inge si sposa con il giornalista inglese Lionel Birch e si trasferisce a Londra; il matrimonio non durò a lungo. Lo stesso anno, in occasione di una visita a Venezia, comincia a fotografare e da allora la macchina fotografica non l’abbandonerà più.

La mostra di Treviso ripercorre le principali tappe del suo percorso proprio a partire da Venezia dove Inge ritorna nell’autunno 1955 per il suo primo incarico fotografico. La sua attenzione è rivolta verso i luoghi meno frequentati, i quartieri più popolari, le persone colte nella loro quotidianità, anche se talvolta una ricerca formale vicina a Cartier-Bresson evoca ambientazioni quasi surreali.

In Spagna fissa attimi diversi di quel paese, della sua cultura, delle sue tradizioni; ritrae Lola, sorella di Pablo Picasso e Doña Mercedes Formica, avvocatessa che si batteva per i diritti delle donne nella Spagna della dittatura franchista. In Iran indaga la dimensione femminile tra tradizioni e trasformazioni legate alla moderna società industriale della metà degli anni Cinquanta. A New York scatta la celebre fotografia del lama che esce dal finestrino di un taxi, parte di un progetto più ampio dedicato agli animali impiegati sui set cinematografici.

E proprio su un set cinematografico, quello del film “Gli Spostati”, conosce Arthur Miller, allora legato in matrimonio con l’attrice Marilyn Monroe. Inge Morath sposa lo scrittore nel 1962 trasferendosi insieme a lui nella fattoria di Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Lì cresce i suoi due figli Rebecca e Daniel e da lì ripartirà per i suoi viaggi che la porteranno in Russia, Cina, Regno Unito, Irlanda, ritornando in Austria e in Slovenia, facendo del suo lavoro, del suo continuo spostarsi, del suo guardare e conoscere, la sua vita.

Sarà lo stesso Arthur Miller a rivelare l’identità più profonda dell’autrice legandola a un concetto di confine che si riflette nell’intera sua opera: «Nell’idea di confine lei sembrava aver trovato la complessità della propria esistenza. Il confine è la fine di qualcosa ma anche l’inizio, la fuga e l’ingresso, il desiderio di dimenticare e la necessità di ricordare visse la sua vita interiore su un confine, che non aveva divisione netta tra luce ed oscurità, ma a cavalcioni di un sentiero incerto attraverso varie scale di grigio. Era un territorio spirituale più che fisico, e la sua delicatezza, il suo tocco di eterno può essere intravisto in molte delle sue fotografie, dove i soggetti sembrano essere in uno spazio sospeso, immobili, in attesa». In questo senso uno dei progetti che più la rappresenta è certamente quello sul Danubio, iniziato nel ’58 e ripreso fino agli ultimi anni della sua vita. L’idea di percorrere il corso del fiume attraversando popoli, culture, lingue, storie e stili di vita diversi, sarà per lei anche una ricerca dentro se stessa e le sue origini. «Ho segretamente desiderato quel tratto di terra lungo il confine»: disse una volta Inge. —



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