Ironia e tanta forza: addio ad Anna Marchesini

L’attrice aveva 62 anni, soffriva di artrite reumatoide. Una carriera inarrestabile tra tv e palcoscenico: nell’88 era al Rossetti
Di Roberto Canziani

TRIESTE. L’ironia. La misura. Il saper ridere. La classe. Una punta di buon veleno. La generosità. Anna Marchesini è stata una signora del teatro italiano. Una gran signora. Colta, ma di spirito ridanciano. Sobria, ma di una sapienza arguta nel toccare i punti deboli dell’italiano. E delle italiane, naturalmente. Una comica, nel senso alto che questa parola aveva nei secoli scorsi: autentica attrice.

Una lunga malattia, si dice in questi casi. Una sofferenza lenta, durata una decina d’anni, che alla fine se l’è portata via. «Prima che lo sappiate da quel tritacarne dell’informazione tengo a dirlo io. Ora, in questo momento, è morta mia sorella Anna Marchesini. Grazie a tutti. Non sarò in grado di rispondervi» ha scritto ieri mattina il fratello Gianni su Facebook, la bacheca dei vivi, ma anche di quelli che non ci sono più.

Lo sapevano in molti che sarebbe venuto il momento. Eppure lei, provata ogni giorno di più da una dolorosa artrite reumatoide, continuava a lavorare. A scrivere e a insegnare. A Roma, nelle aule di casa Macchia, sede distaccata dell’Accademia Silvio d’Amico, le sue lezioni volavano alte sopra il silenzio dei giovani allievi attori che la scrutavano con pudore, attenti quasi a non farle male. Mentre una sua bella foto, un’immagine di tempi migliori - l’età dell’oro del Trio Marchesini-Solenghi-Lopez - continuava a sorridere dalla galleria di celebri allievi che si srotola sulle pareti lungo le scale.

Punto di partenza e punto d’arrivo, per Anna Marchesini, l’Accademia d’Amico. Partita dalla provincia (era nata nel 1953 ad Orvieto), là voleva arrivare. E là era arrivata. Ben oltre le rosee aspettative che quella brava giovane attrice aveva maturato accanto a Tino Buazzelli, a Mario Scaccia, a Lorenzo Salveti. Era stata la tv a renderla popolare, una corsa veloce e inarrestabile tra gli schermi anni ’80, così diversi dai miliardi di pixel di oggi. Con il varietà televisivo che sapeva ancora d’antico, e che lei assieme agli amici Tullio (Solenghi) e Massimo (Lopez) avrebbe saputo svecchiare. “Helzapoppin”, e poi “Tastomatto”, “Domenica In”, “Fantastico” e tre edizioni di Sanremo. Un’infilata di successi che li avrebbe catapultati, tutti e tre, nel teatro da cui erano partiti. “Allacciate le cinture di sicurezza” era stato il loro primo spettacolo (qui da noi, al Rossetti, nell’88) e già si vedeva che, in confronto ai due compagni di viaggio, «la Marchesini c’ha una marcia in più». Un incidente diplomatico (uno sketch, fin troppo ingenuo, che fece fibrillare i rapporti tra Italia e Iran) e i picchi da 17 milioni di spettatori per “I promessi sposi” fanno oramai parte della storia della televisione italiana.

Più di dieci anni durò quell’esperimento, uno e trino. Poi le carriere si separarono (amichevolmente) e lei versatile come doppiatrice, mise a frutto la camaleontica maestria di tutte le sue voci. Una nuova galleria di personaggi comici (anche i più felicemente sboccati: la sessuologa Merope Generosa), ma soprattutto la scelta di autori d’elezione: il sobrio Alan Bennett (“Una patatina nello zucchero”, “L’occasione d’oro”, “La cerimonia del massaggio”) e l’ermetico Tommaso Landolfi (“Le due zittelle”, proprio così, con due ti) dove moltiplicava per dieci, addirittura per quindici, la propria bravura nel dare voce e corpo ai personaggi. Letture alte, che hanno sollecitato la sua mano letteraria indirizzandola a una narrativa piena di sapori (“Il terrazzino dei gerani timidi”) e, due anni fa, “Moscerine”, da cui nascerà il suo ultimo spettacolo “Cirino e Marilda non si può fare”.

Sul suo sito, oggi, un’ironica anticipazione e una dedica alla “sua” Accademia: «Ho già adocchiato una vetrinetta in sala riunioni con un piccolo cofanetto verde di porcellana, credo. Ritengo sia ideale per contenere le mie ceneri».

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