«Italiano, lingua assediata»

Il semiologo Stefano Bartezzaghi ne parla domenica a Pordenone per èStoria
Di Francesca Pessotto

di FRANCESCA PESSOTTO

In attesa della XIII edizione di èStoria (Gorizia, dal 26 al 28 maggio), il cui tema sarà "Italia mia", il Teatro Verdi di Pordenone e l'Associazione culturale èStoria proseguono gli incontri di confronto e di approfondimento sulla questione dell’identità italiana e della sua formazione, all'interno del progetto "Essere italiani: forme, invenzioni e prospettive di un’identità". Dopo il primo appuntamento del 22 gennaio con Marcello Veneziani, Guido Crainz e Armando Torno, domenica prossima è la volta di Stefano Bartezzaghi e Paolo Medeossi che affronteranno il tema de “La lingua assediata”, alle 11 al Teatro Verdi.

Bartezzaghi, semiologo, giornalista e scrittore rifletterà sulla componente imprescindibile di ogni comunità nazionale, in cui si riflettono caratteristiche e aspetti della vita di un popolo, elemento dinamico della politica e della società. «Nella società in cui viviamo, sempre più orientata al cosmopolitismo di consumo e di ricerca scientifica - dice Bartezzaghi - l'adattamento della lingua è atto necessario e inevitabile. Le lingue si evolvono e non si possono governare, vanno dove i suoi parlanti decidono che debbano andare, secondo tendenze che si possono solo osservare. Il successo che la lingua italiana ha avuto all'estero, anche nell'esportazione di singoli lemmi, è coinciso con un periodo di egemonia del popolo italiano o dello Stato. Ad esempio nella musica il lessico internazionale è l'italiano in quanto è l'Italia ha dominato la scena della cultura musicale del '6-700. Oggi purtroppo l'Italia non è più all'avanguardia e settori dominanti come l'informatica o la telematica “parlano” un'altra lingua, forgiata da termini inglesi di cui i mass media si sfamano, entità opache per coprire la realtà. Gli anglicismi poi sono considerati prestigiosi, di moda, tanto da abbondare nei discorsi contemporanei, come nell'ottocento si usava il francese».

L'italiano è destinato quindi al disuso?

«Il successo internazionale di una lingua è legato al successo della cultura che essa veicola in senso lato, comprendendo anche settori più tecnici come l'economia o la politica. L'unica promozione della lingua italiana oggi avviene con la gastronomia, anche se i corsi di italiano all'estero hanno una forte richiesta. Ma per questo dobbiamo guardare alla percentuale di connazionali presenti nel mondo e all'incidenza del loro vivere a contatto con le altre popolazioni. Per risollevare l'italiano bisognerebbe sostenere la cultura italiana e la letteratura».

La parola nell'educazione e nella divulgazione, quali i punti di riferimento?

«La libertà di parola traghetta ciò che si ha da dire sulla realtà. La parola pubblica una volta era appannaggio di pochi, oggi chiunque può scrivere tutto ciò che vuole, come lo vuole: esempio ne sono i social network, che -per dirla alla Eco- “fanno emergere i discorsi da bar nella loro volgarità e violenza”, fino a diventare nuovi punti di riferimento e acculturamento al pari di testi scolastici, libri o giornali. Le scienze hanno sviluppato un meta linguaggio, dei termini tecnici che permettano agli studiosi di intendersi tra loro. Nei discorsi quotidiani ci si può permettere di essere generalisti, ma in ambito tecnico bisogna far riferimento alla semiotica come condizione della chiarezza di un dibattito. Negli ultimi decenni c'è stato un avvicinamento tra la ricerca scientifica e i mass media che ha semplificato il linguaggio sicuramente in maniera positiva, anche se con molte controindicazioni conseguenti. Volendo aprire il discorso ai più, gli specialisti corrono il rischio di risultare meno chiari e meno efficaci».

Con quale conseguenza a livello di erudizione e preparazione?

«L'esigenza di una grande divulgazione ha bandito l'editoria universitaria a favore di libri rivolti a tutti, anche ad un pubblico di non studenti, abbassando di conseguenza il livello. I docenti che si preparano oggi all'insegnamento pagano il prezzo di un diminuito tasso di approfondimento e precisione rispetto al passato e una maggiore approssimazione linguistica. Impoverimento e sciatteria si riscontrano anche in testi universitari. Non possiamo sperare in una salvezza se non si rialza lo standard di un italiano che si è abbassato ad un livello colloquiale. A partire dai giornali, che perdonano spesso l'uso scorretto della lingua in favore di un emulazione colloquiale per far sentire a proprio agio il lettore».

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