Kadarè: «La letteratura è al di sopra di tutto»

A Ronchi di Percoto la consegna dei Nonino. Lo scrittore: «In Albania l’amore per Dante è sopravvissuto ai totalitarismi»
Udine 27 Gennaio 2017 Premio Nonino © Petrussi
Udine 27 Gennaio 2017 Premio Nonino © Petrussi

INVIATA A RONCHI DI PERCOTO. Una «comica» caduta dalle scale (come lui stesso l’ha definita), con tanto di rottura di una costola, gli ha impedito di incontrare e premiare Ismail Kadarè ieri, a Ronchi di Percoto. E così un affranto Claudio Magris si è dovuto “consolare” con un videomessaggio per spiegare perché il premio internazionale Nonino 2018 sia finito tra le mani del poeta, romanziere e sceneggiatore nato in Albania ma da anni esule a Parigi. «Kadarè - è stato il commento di Magris - ha creato un quadro appassionato, drammatico, affascinante di quei Balcani. Un mondo crudele, feroce, fatto di tradimenti e delazioni, di un totalitarismo che entra persino nei sogni e nell’inconscio degli uomini. Un senso del male strisciante che non ha colpito solo il potere politico. Insomma, una spia, in senso buono, della vita».

Sul palco di Percoto, Kadarè - il più atteso tra i premiati scelti dalla giuria del Nonino presieduta dal Nobel per la letteratura Naipaul - non ha potuto non ricordare i legami tra il suo Paese e l’Italia. «Quando l’Albania è stata occupata dai fascisti, Mussolini ha lusingato Tirana con una quantità sterminata di lodi. È arrivato a definire Italia e Albania due Paesi all’avanguardia in Europa. Poi Mussolini è passato, e gli elogi sono finiti. Sotto il fascismo si studiava Dante e la Divina Commedia, e la cosa strana è che la gloria di Dante è rimasta intatta anche dopo l’occupazione sovietica. No, Dante non è stato scalzato. E l’Albania, vittima del più duro regime stalinista in Europa, ha continuato ad amare Dante ancora più di prima. La letteratura è al di sopra di ogni regime, questa è la sua qualità. La più meravigliosa. Sono onorato e commosso di essere in Italia, qui, ora».

Grandezze e tragedie del passato balcanico e ottomano narrate da Kadarè, grandezze e tragedie dell’essere umano raccontate da Giorgio Agamben, figura di spicco della filosofia contemporanea. Per lui, il Premio Nonino a un maestro del nostro tempo. La sua raccolta in più volumi nota come “Homo sacer” parla anche di Auschwitz, e non si tratta “solo” delle descrizioni agghiaccianti della vita nei campi di sterminio e di concentramento, il risultato - terrificante - che ne esce è il rivelarsi della natura umana. Esseri umani vulnerabili e imperfetti, generosi e coraggiosi per un momento, crudeli e corrotti un attimo dopo. Un’essenza umana vulnerabile e condannata a risultati disastrosi. Nonostante la data di ieri coincidesse proprio con il Giorno della memoria, Agamben non ha parlato di Shoah bensì di altre “perdite”, di altri “morti” rapendo, con le sue parole, un pubblico mai così attento e silenzioso. «Ho una certa diffidenza verso i premi, ma in questo caso l’ho accettato con gioia - ha spiegato - perché il Nonino si propone di valorizzare la civiltà contadina. Civiltà che appartiene al passato: io stesso sono nato negli anni in cui la maggioranza della popolazione lavorava nei campi, e sempre la mia generazione ha assistito alla scomparsa repentina di quella civiltà durata cinquemila anni. Ci hanno abituato a pensare che la sua fine sia stata ineluttabile, non violenta. Invece di genocidio si è trattato, c’è stata violenza anche nel deportare uomini e donne dal Sud al Nord. Nel 1932 - ha annotato ancora Agamben - un libro ci presenta la nuova figura che ha scalzato il contadino, l’operaio. Eppure poi l’operaio è storicamente scomparso ancora più rapidamente del contadino. Abbiamo perduto un patrimonio senza sapere con cosa sostituirlo. Una generazione ha dissipato un patrimonio millenario. Quindi la domanda è: quale può essere la figura che definisce oggi il nostro modo di vivere? Non lo so. Carlo Levi distingue la società in contadini, che poi non sono strettamente gli uomini della campagna ma tutti coloro i quali “fanno”, e luigini, ovvero tutti gli altri, che vivono sfruttando coloro che “fanno”. Ecco, io dedico questo premio ai contadini e non ai luigini».

Ovazione. Applausi calorosi da parte di una sala con assai pochi politici e mise piuttosto sobrie, rallegrata - come sempre - dall’entusiasmo contagioso di Giannola Nonino, pronta a premiare, brindare, baciare i suoi ospiti piuttosto ingessati (o semplicemente emozionati). Un vero e proprio “distillato” di sorrisi ed energia dirompente.

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