Kezich, il ricordo della moglie: «Lavorava sempre concentrato, anche sulla sdraio in spiaggia»

Alessandra Levantesi ricorda la quotidianità con il marito Tullio: «Parlavamo di film continuamente, pranzo e cena compresi»
Tullio Kezich e Alessandra Levantesi con Francesco Macedonio
Tullio Kezich e Alessandra Levantesi con Francesco Macedonio

TRIESTE Poco più di dieci anni fa, il 17 agosto 2009, scompariva quasi 81enne Tullio Kezich, l’unico critico cinematografico ad aver scritto per i due maggiori giornali italiani, ma anche scrittore, autore teatrale, sceneggiatore e produttore, punto di riferimento per il cinema italiano del dopoguerra e icona della cultura cinematografica e teatrale triestina.

Tullio Kezich con Federico Fellini
Tullio Kezich con Federico Fellini


La ricorrenza ha messo in moto un’opportuna riflessione sull’importanza e sul lascito culturale della sua figura, sia a Roma con la Sala Lettura a lui dedicata a Cinecittà, sia nella sua Trieste, dove questo giovedì 6 febbraio la Società di Minerva gli dedicherà un incontro (ore 16, Biblioteca Statale Stelio Crise) a cura di Elvio Guagnini, con Luciano De Giusti, Paolo Quazzolo, Sergio Crechici e Alessandra Levantesi.

A quest’ultima, moglie e compagna di vita e di lavoro negli ultimi vent’anni di esistenza di Kezich, abbiamo chiesto di portarci indietro nel tempo in una giornata tipo del critico triestino, tra immagini private e attività quotidiana, per scoprire l’intellettuale e l’uomo.

Levantesi e Kezich con Armando Trovajoli e Lelio Luttazzi
Levantesi e Kezich con Armando Trovajoli e Lelio Luttazzi


Com’era Tullio Kezich al lavoro, che metodo aveva?

Non aveva metodo, perché lavorava sempre. Se non scriveva per un articolo urgente, scriveva comunque per un’altra pubblicazione futura. Ciò che gli ho sempre invidiato era la sua incredibile capacità di sfruttare anche solo una mezz’ora di tempo, che poteva ricavare in qualsiasi momento durante la giornata. Un piccolo ritardo, un breve vuoto, un’attesa che si verificava negli incontri o negli spostamenti, per lui diventava subito occasione per scrivere testi o progetti. Questo era un aspetto decisivo della sua prolificità di scrittura.

Qual era il suo atteggiamento nelle situazioni di scrittura?

Quando scriveva era sempre rapido e molto concentrato. Anche in spiaggia quando prendeva qualche appunto sulla sdraio sotto l’ombrellone, in quei rari periodi nei quali a un certo punto sono riuscita a portarlo. Ed era capace di sfruttare di notte quel paio d’ore di insonnia che ogni tanto poteva avere, durante le quali si alzava e scriveva, contento poi la mattina di svegliarsi con una parte di lavoro della giornata già fatto. Inoltre, riusciva a portare avanti diversi testi contemporaneamente, alternandoli senza sacrificarne nessuno.

Come avveniva la vostra collaborazione per i libri - come “Dino. De Laurentiis, la vita e i film” - e i copioni teatrali?

Avendo in comune sia la vita quotidiana, sia la professione, per noi di fatto il lavoro era la condizione normale della vita. Condividevamo le passioni culturali e gli argomenti di discussione, quindi praticamente tutta la giornata era dedicata al lavoro. Era naturale, ma soprattutto era bello parlarne anche a pranzo e a cena.

Qual era il rapporto di Kezich con la frenetica attività giornalistica?

Per principio, Tullio aveva il totale rispetto del lavoro altrui, di tutta la redazione e dei colleghi. Se il caporedattore gli chiedeva 30 righe, lui scriveva 30 righe, non mezza riga di più. Non l’ho mai sentito protestare per avere più spazio, o per un titolo assegnato al suo pezzo. Anche per questa sua disciplina riusciva a scrivere 200 pezzi all’anno per il ‘Corriere della Sera’. Però aveva anche molto chiaro il limite della sua capacità di scrittura, per mantenere sempre la dovuta qualità. Quando ha iniziato a collaborare al ‘Corriere’, ha insistito proprio lui per sciogliersi dalla storica collaborazione con ‘Panorama’.

C’era qualcosa che proprio non sopportava?

Sicuramente i refusi sui suoi pezzi. Era molto preciso, ma a volte qualche errore scappava. Controllava e ricontrollava l’articolo ed era capace di telefonare in redazione fino a tardi per apportare correzioni o piccoli miglioramenti. Però una volta storpiò proprio lui clamorosamente in una recensione il nome di Joe Mantegna (in Bologna o qualcosa del genere, mi pare). Purtroppo nessuno, nemmeno in redazione, se ne accorse e lui stette male per una settimana.

Qual era il segreto dei suoi articoli?

Il talento e il mestiere fusi perfettamente insieme. Gli capitava ad esempio di ricevere una telefonata dal giornale alle 8 di sera perché era morto qualche personaggio dello spettacolo, e lui doveva scrivere l’articolo in un’ora appena. Io magari mi mettevo a leggere qualcosa sull’argomento per aiutarlo, ma lui intanto, con tempi incredibili, aveva già finito di scrivere. Ed erano pezzi sempre stupendi. —

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