Kounellis e l’epica in riva al mare

Indimenticabile la sua mostra a Trieste del 2013
Di Giada Caliendo

di GIADA CALIENDO

Il frammento rimanente è a volte la vera poetica della memoria, di quell'insieme che era unità ed unicità: Jannis Kounellis ha saputo, nel corso della sua lunga carriera artistica definire esteticamente questo concetto. A due giorni dalla sua scomparsa ci si interroga sui caratteri simbolici delle sue opere, sul senso e sul valore, sulla metafora e sulla "pregnanza".

Il suo linguaggio era assolutamente scenografico, teatrale e drammatico nel senso profondo del racconto, lontano categoricamente dalla tradizione ha sempre teso alla libertà e ad un'ideologia che stimolasse la storia in relazione al futuro.

Nato in Grecia, si era trasferito in Italia appena ventenne, qui aveva acquisito la cittadinanza ed aveva contribuito al rinnovamento dell'arte negli anni Sessanta. La sua prima personale era stata allestita alla galleria La Tartaruga di Roma quando ancora frequentava l'Accademia di Belle Arti ma già si intuiva il percorso che avrebbe intrapreso.

La sua ricerca parte dal quadro tradizionale, lo concepisce però libero e nudo nella sola accezione di grandi lettere maiuscole o numeri dipinti rigorosamente in nero. Si sposta quindi verso una concezione più strutturale dell'opera d'arte e impiega materiali quali il ferro, il legno, la iuta, oggetti di scarto senza nessun valore. Avverte la necessità di una comunicazione differente rispetto ai canoni del passato, siamo d'altronde in un'epoca di grandi cambiamenti sociali ed artistici. La necessità del linguaggio si esprime con l'arte povera, attraverso performances ed assemblaggi di materiali elementari.

"Arte povera" è proprio la definizione coniata da Germano Celant per designare le opere di un gruppo di artisti che attorno alla metà degli anni Sessanta avevano ideato una serie di opere ed istallazioni basate sull'uso di materiali poveri quali brandelli di stoffe, legno, frammenti in genere.

L'arte diviene denuncia, dichiarazione, promulgazione di ideali e spesso Jannis Kounellis si avvale di una violenza visiva per far perno nell'immaginario del fruitore ma non si tratta mai di un uso maniacale quanto piuttosto di un mezzo per liberare un lirismo arcaico in cui l'uso dello spazio è essenziale quanto l'opera stessa. Trieste ha avuto la fortuna, tra l’autunno del 2013 e la primavera del 2014, di ospitare un'importante mostra dell'artista greco. Jannis Kounellis definì il Salone degli Incanti di Trieste uno spazio epico. «Non è solamente una bella architettura ma è epico», aveva affermato in un'intervista sulla sua personale nella città giuliana. Da sempre legato alle città di mare il suo incedere lo ha condotto spesso ad utilizzare oggetti di vecchi cantieri navali, di materiali legati ai commerci ed ai porti.

Era già stato a Trieste da bambino con il padre, ingegnere navale, e ne aveva conservato un caro ricordo. La mostra "Kounellis Trieste" fu curata ed ideata da Davide Sarchioni e Marco Lorenzetti ed ebbe più di undicimila spettatori.

In un primo tempo l'esposizione doveva avere come sfondo il magazzino 26 del Porto Vecchio ma successivamente si decise per il magnifico spazio del Salone degli Incanti - Ex Peschiera di Trieste e l'artista fu felice della particolare ubicazione.

Una mostra nata con lo spazio: la vecchia pescheria aveva ritrovato, in qualche modo, la sua memoria nell'uso dei tavoloni che erano stati accantonati. Lo sguardo lungo di Kounellis li ha voluti al centro dello spazio e vi ha "ormeggiato" sopra i frammenti di barche. La conformazione a navate le aveva già da tempo regalato la definizione di basilica sull'acqua ma con la mostra di Kounellis tale nome diviene ancor più veritiero. Realizza "un dipinto con la materia", come amava dire e concepisce una sorta di spina dorsale sugli antichi banchi di pietra della Peschiera su cui appoggia i frammenti di barche.

I rottami hanno una conformazione quasi umana: c'è un forte rimando al costato di Cristo ed anche le sedie, coperte con drappi neri, poste ai lati della grande spina di pesce vista dall'alto, ricorda una deposizione. Dalle sontuose navate discendevano pietre legate a fili di corda: sintesi e verticalità, concetti che Kounellis ha sempre legato ad un estremo rigore che non permette sbavature ed un ritmo che cadenza l'emblematicità del lavoro.

Il suo era un pensiero umanistico, di un uomo generoso e disponibile che non ha approfittato della propria genialità per tornaconti personali. Chi lo ha conosciuto racconta di un artista che non ha mai lesinato nella vita e nell'arte.

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