“La Buffa” primo titolo del Ponte rosso

Alla Minerva presentazione del libro di Camber Barni e del nuovo editore

«Non sono bersagliere, / non sono neppure alpin: / io sono della Buffa, / io sono fantaccin». La Buffa, nome scherzoso con cui veniva chiamata la fanteria nelle trincee della Grande Guerra, dà il titolo all’unica testimonianza edita in vita della produzione letteraria di Giulio Camber Barni, raccolta di poesie diventata un classico della letteratura di guerra sul primo conflitto mondiale. Dopo l’ultima edizione del 2008 pubblicata da “Il Ramo d’Oro”, esce ora una nuova, accurata edizione critica a cura di Lorenzo Tommasini, con prefazione di Walter Chiereghin e un saggio di Fulvio Senardi. “La Buffa e altre poesie” (pagg. 259, euro, 18,00) è il titolo inaugurale della “Libreria del Ponte rosso”, nuova editrice legata all’omonima rivista distribuita on-line in abbonamento (in questi giorni è disponibile l’ultimo numero con numerosi contributi a firma fra gli altri di Enzo Santese, Paolo Quazzolo, Luisella Pacco, Silva Bon, info@ilponterosso.eu).

“La Buffa” sarà presentato domani, alle 18, alla Libreria Minerva di via San Nicolò 20 a Trieste, da Fulvio Senardi, Lorenzo Tommasini e Luca Zorzenon, presidente dell’associazione culturale Il Ponte rosso.

Fino a non molti anni fa «presenza pressoché clandestina nella storia della letteratura italiana nata o ispirata dalla Grande Guerra», come osserva Senardi, oggi Giulio Camber, nome di battaglia Barni, è autore da leggere e rileggere per come i suoi versi riescono a restituire in maniera quanto mai viva lo sguardo, il pensiero e le disillusioni di quella generazione di triestini che, sulla scia di Mazzini, «concepirono l’impegno politico come imperativo etico» (Chiereghin) scegliendo - un migliaio di loro - di arruolarsi volontari nelle fila dell’esercito italiano. Ma non solo: a rendere attuale l’opera sono soprattutto l’umanità e la pietas espresse con l’ironia, la rabbia e a volte lo stupore di chi, come Camber Barni, affronta la guerra «come una dura necessità, della quale sente appieno il rischio mortale suo e dei suoi soldati che, come possono, cercano di evitarlo, senza per altro sottrarsi ad esso nell’adempiere il loro dovere».

L’ottimo apparato critico del volume aiuta il lettore a entrare assieme a Camber Barni nell’inferno delle trincee dove «io me ne stavo triste, / pensando ai compagni perduti, / aggrappato ai miei pochi soldati, / pidocchioso quanto loro». Trincee dove anche un cane, «anima vagabonda / dalla coda pellucchiata» può essere invidiato dai fanti sfiniti da privazioni e disciplina: «...eri un libertario: / non rispondevi all’appello, / non salutavi nessuno, / nemmeno il colonnello». (p.spi.)

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