La buona società tanto crudele nel graffio di Dorothy Parker

Tornano in libreria da oggi con Astoria le short stories dell’autrice americana giornalista, corrispondente di guerra, caustica fustigatrice di vizi e costumi



Dorothy Parker è famosa per i suoi racconti brevi, vergati in uno stile inconfondibile: mix d'amara malinconia, romantica nostalgia per ideali amori impossibili e una comicità che – a volte – rasenta la malvagità.

Nata nel 1893 dal ramo povero dei Rothschild, Dorothy Parker studiò in una scuola cattolica, da cui fu espulsa quando definì l’Immacolata Concezione una “combustione spontanea”. Le sue battute salaci divennero presto prezioso materiale per i gossip dei circoli newyorkesi. Nel 1914 iniziò a scrivere per Vogue e poi sostituì P.G. Wodehouse a Vanity Fair. Nel 1917 sposò Edwin Pond Parker II, un broker alla Borsa di New York, dal quale divorziò presto, ma ne mantenne il cognome, anche dopo il secondo matrimonio, nel 1933, con lo scrittore e attore bisessuale Alan Campbell.

In amore fu sempre sfortunata, come si evince dall'imbarazzante realismo dei suoi racconti, in particolare quelli in cui vengono messe in scena strazianti chiamate telefoniche di donne abbandonate dai loro mariti o amanti, come in “Da New York a Detroit” o ”La quiete prima della tempesta”. Famosa la battuta che fece a un amico: “Quando il telefono non ha squillato ho capito subito che eri tu”. Ebbe più fortuna nell'amicizia con Lilian Hellman, la compagna di Dashiell Hammett.

Dorothy era la regina del bar dell'Hotel Algonquin, dove negli anni '20 si ritrovavano gli intellettuali newyorkesi. Divenne collaboratrice del New Yorker dalla fondazione con la sua caustica rubrica “Constant Reader”, in cui dissacrò tutti i grandi personaggi dell'epoca, Mussolini compreso, e fu anche corrispondente politica dalla Spagna durante da Guerra Civile.

Soggetta a crisi depressive, fu più volte tentata dal suicidio ma, come scrisse in una poesia, valutati tutti i disagi, alla fine “tanto vale vivere”. S'è detto di lei che le uniche cose che amasse fossero il gin, il Seconal e i cani, ma fu soprattutto una progressista e diede voce al movimento per i diritti civili, tanto che lasciò i suoi diritti d'autore a Martin Luther King per The National Association for the Advancement of Colored People. Morì d’infarto a New York nel 1967, la bellezza di un tempo deturpata dall'alcol.

Per la sua tomba aveva composto il fulminante epitaffio: “scusate la polvere”. Per anni l’urna con le sue ceneri, che nessuno reclamava, venne continuamente spostata, finchè il 22 agosto 2020 trovò definitiva collocazione nell’antico cimitero del Bronx.

La casa editrice Astoria propone ventuno racconti di Dorothy Parker col titolo “Tanto vale vivere”, in uscita oggi con una prefazione di Natalia Aspesi brillante quanto i racconti stessi, di cui Chiara Libero offre una nuova traduzione (pp. 320, euro 19).

ra le short stories (quasi esempi di flash fiction ante litteram) contenute nella raccolta, c'è anche quello che è considerato il suo capolavoro: “Una bella bionda”, scritto nel 1929 e che le assicurò l'O.-Henry-Award. Racconti in cui Parker non solo rivela le ipocrisie, le vanità e le intolleranze anche razziali dei suoi personaggi, o dove descrive matrimoni falliti, ragazze piantate o signore dell'alta società annoiate, ma in cui trafigge i suoi personaggi con dialoghi fulminanti, ironici e impietosi.

Un libro che si dovrebbe leggere con la stessa attenzione di un manuale di sopravvivenza, per imparare che gli uomini odiano i problemi, le lagne, i pianti e le scenate, e che - come spiega Mrs Marion a Sylvie in “Consigli alla piccola Peyton” - “L’amore è come una pallina di mercurio”: se lei lascerà “le dita aperte resterà sul palmo della sua mano”, ma se le chiuderà cercando di trattenerlo inevitabilmente “schizzerà via.” —

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