La Crusca su Twitter ecco il bell’italiano al tempo dei social

di CARLA CIAMPALINI
Il primo cinguettìo risale al 2012. Ed è un ingresso, quello su twitter, contestuale all'avvio di una pagina facebook, di un canale youtube e alla ristrutturazione del sito web. Una deriva "social" pienamente coerente con la lunga tradizione di apertura al pubblico di non esperti che l'Accademia della Crusca ha sposato dagli anni '90, con la pubblicazione del semestrale cartaceo "la Crusca per voi" e il primo sito istituzionale. «È stata una decisione ragionata e consapevole - spiega Vera Gheno, twitter manager dell'Accademia con cui collabora dal 2000 - che riconosce l'importanza del dialogo attraverso ogni canale possibile e a disposizione dell'ente». Una scelta che secondo Vera Gheno, dottore di ricerca in linguistica, specializzata in linguaggi giovanili e comunicazione mediata tecnicamente, docente a contratto all'Università di Firenze e alla Stranieri di Siena, che comporta soprattutto vantaggi poiché consente di «poter raggiungere pubblici più vasti e variegati, favorire il dialogo, far conoscere le attività della Crusca a livello più ampio». L'account in questi anni è cresciuto in modo esponenziale, complice anche il petaloso-gate. E con i suoi 49.600 follower, o "seguitori" come ama definirli Gheno, ha ottenuto da poco il mitico badge blu contenente la spunta bianca, autorevole certificazione che compare accanto ai nomi degli utenti più famosi a confermarne l'autenticità e il prestigio.
Ma quali sono le attività prevalenti della Crusca e quali di queste riesce a svolgere in rete e attraverso i social? «Quella che viene svolta in maniera più crossmediale è sicuramente la consulenza linguistica - dice Vera Gheno - ma la rete e i social sono utili anche per altre questioni: intanto, per comunicare con maggior velocità informazioni di carattere linguistico, per dare notizia di convegni e uscite bibliografiche. Diciamo che i social servono per comunicare con velocità a un pubblico più ampio. Ma l'attività della Crusca è ben più corposa e per conoscerla invito proprio a frequentare il nostro sito, soprattutto nelle sezioni Eventi e Attività. L'unica cosa che in questo momento la Crusca non fa è il vocabolario. L'attività lessicografica è stata interrotta nel 1923, e al momento non è stata riesumata».
Quale tipo di relazione c'era con il pubblico prima dell'apertura dei canali social?
«Le richieste arrivavano, semplicemente, attraverso mezzi più tradizionali. Lettere cartacee e fax, per esempio. Ma lettere tradizionali ne riceviamo tuttora copiosamente».
Esiste un piano editoriale, una netiquette per Twitter?
«Diciamo che c'è un accordo di massima sul materiale da pubblicare: pubblico notizie di convegni, di questioni di interesse linguistico, anche di altri enti soprattutto italiani ma non solo, rilancio schede di consulenza linguistica pubblicate sul sito web della Crusca e cerco di rispondere a quesiti per i quali basta consultare strumenti disponibili online. In quei casi rimando semplicemente a una fonte valida, come il DOP, www.dizionario.rai.it. Non rispondo a domande per le quali dovrei improvvisare una risposta di sana pianta e ove possibile mi consulto con le mie colleghe della redazione di consulenza. Inoltre la Crusca non interviene in discussioni politicizzate. Ovviamente non entra in discussioni accese e non risponde alle provocazioni. Sono regole, queste, valide universalmente, non solo per la Crusca. All'interno di questi accordi di massima, ho una certa libertà di azione».
Che tipo di linguaggio adotta?
«Scrivere chiaro e semplice non vuol dire rinunciare a una certa formalità e sicuramente non alla correttezza. Diciamo che ho una visione "calviniana" della lingua, che deve essere chiara e immediatamente comprensibile. Sicuramente sono abolite le parolacce e cerco di limitare al minimo gli anglismi, anche se questo non è sempre questo e sarebbe pure anacronistico».
Quali sono stati i tweet più simpatici o singolari?
«Uno dei miei tweet più "sentiti" è stato quello contenente la definizione di "duca" dal nostro vocabolario, per commemorare la morte di David Bowie. E poi, ovviamente, l'immortale scambio nel quale ci ha coinvolto Lercio sul "qual è" apostrofato. Un altro bel momento è quando siamo finiti in "Commenti memorabili" con una replica in cui bacchettavamo uno status un po' “cattivello”».
Veniamo al caso di petaloso…
«A gestire il grosso del traffico di quei giorni siamo stati in tre: Cristina Torchia, colei che ha risposto alla lettera di Matteo; Stefania Iannizzotto su facebook e io per twitter. Quei giorni sono stati molto movimentati, come negarlo. Il volume di tweet contenenti #petaloso è stato pazzesco: siamo stati trending topic in Italia per un giorno intero, e per un brevissimo periodo persino trending topic mondiale. Tutti, letteralmente, stavano impazzendo per questo aggettivo. Il tweet collegato ha avuto circa 600 retweet e 600 like. Le visualizzazioni totali a oggi sono state più di 75.000. Purtroppo, moltissime persone hanno frainteso alcuni punti chiave della vicenda attorno a "petaloso". La principale è che la Crusca, come menzionavo prima, non compila vocabolari dal 1923, per cui non è mai stato in suo potere "approvare" i neologismi. In secondo luogo, in Italia non esiste nessun ente preposto a farlo; i lessicografi decidono quali parole inserire nelle nuove edizioni del vocabolario basandosi su dati statistici: una parola deve venire usata da un alto numero di persone e per un periodo di tempo sufficientemente lungo».
Qqualcuno online le ha fatto mai perdere la pazienza?
«A volte succede che qualcuno mi faccia perdere la pazienza, ma come Crusca non ho mai defollowato o bloccato nessuno. Anche con i troll più tenaci, la risposta migliore è l'indifferenza».
Quanto i social network "devastano" la lingua italiana corretta?
«Studio la lingua dei social da quasi vent'anni, da quando ancora nemmeno si chiamavano social. Non penso che devastino la lingua. Sono un mezzo di comunicazione, un contenitore, che noi utenti riempiamo di contenuti in base alle nostre competenze e capacità. Hanno fatto emergere una scrittura informale che è sicuramente insolita, in base ai parametri di correttezza che tutti studiamo a scuola. Da una parte quindi impieghiamo una serie di escamotage che fanno arricciare il naso a molti (come le tachigrafie, ossia le scritture come "cmq" per 'comunque' o "nn" per 'non', o gli acronimi, come ASAP per "as soon as possible" o LOL 'ridere' da 'laughing out loud') e dall'altra vediamo errori di ortografia che denotano una scarsa dimestichezza con la lingua scritta, come "qual'è", "pò" o "ingegniere" invece di "qual è", "po’" e "ingegnere". Ma mentre la parte dei "trucchi linguistici" per esprimere di più in meno spazio è accettabile e anzi denota un adattamento della lingua al mezzo, che è segno di salute della lingua stessa, gli errori ortografici sono un problema dello scrivente: mostrano che ci sono delle carenze di competenza linguistica molto diffuse in italia, anche tra persone che studiano o hanno studiato, ma evidentemente non hanno tutta questa dimestichezza con la norma scritta della nostra lingua».
Gli italiani ci tengono ancora alla loro lingua?
«Credo che la gente ci tenga, anche se le incertezze sono molte. Le richieste sono sempre di più».
Vi è una distinzione tra Nord e Sud negli strafalcinoni?
«Ci possono essere strafalcioni diversi. Faccio un esempio: al nord talvolta si fa fatica a distinguere tra accento acuto e grave e molti scrivono "perchè" o "nè" invece di "perché" e "né", e in questi errori non escluderei l'interferenza di un certo tipo di pronuncia. A Firenze molti scrivono "accellerare" invece di "accelerare" perché così pronunciano. E così via... ma a livello di preparazione, globalmente, non noto grandi differenze».
Ha figli? Usano i social?
«Ho una figlia di nove anni, Eva. Al momento non è ancora interessata ai social network, anche se spesso guarda i video che le interessano su youtube. In realtà, odia quando io parlo di lei su facebook... e in fondo ha ragione!».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo








