“La donna alla finestra” spia di nascosto le vite degli altri tra realtà e fantasia

la recensione
Il debito nei confronti del cinema di Hitchcock è esplicitamente dichiarato fin dalle prime inquadrature: “La finestra sul cortile”, soprattutto, ma anche “Angoscia” e “La donna che visse due volte” e, in una vertigine inarrestabile di immagini riflesse tra cinema e schermo, anche De Palma (che guarda a Hitchcock) o il Fincher di “Panic Room”. Come il fotoreporter interpretato nel 1954 da James Stewart, anche Anna Fox (un’intensa e appesantita Amy Adams), psicologa infantile bloccata tra le pareti domestiche da una grave forma di agorafobia, osserva il mondo dalla finestra, spia le vite degli altri, osserva l’andirivieni di fronte al marciapiede di casa. Il suo disturbo è causato da un trauma che cura con massicce dosi di farmaci, vino e vecchi film, consumati (tutti) avidamente in uno stato spesso al limite dell’allucinazione. Così realtà, immaginazione e immaginario spesso si intrecciano e si confondono e non è semplice capire se abbia realmente assistito all’omicidio di una vicina di casa, come afferma. Ma la cosa forse più interessante de “La donna alla finestra” di Joe Wright, al di là della soluzione del “giallo” a cui partecipa un nutrito cast di star (Julianne Moore, Gary Oldman, Wyatt Russell, Jennifer Jason Leigh), è il suo ragionare sulla messa in scena e sulla teoria delle immagini, creando (fatalmente) un curioso transfert che ci riporta in molti alla condizione che abbiamo recentemente vissuto durante il primo “lockdown”, costretti per lungo tempo dentro casa e voyeur per necessità. —
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