La giovane sognatrice travolta dal destino alla scoperta di Trieste

«Non sapevo quando avrei potuto vedere Trieste. Ma avevo deciso, o meglio avevo provato l’anelito. Sulle prime, già quella sera stessa, dopo aver salutato Johann, sentii un fuoco in me». Siamo negli anni ante-euro, Cora Sorgfalt ha ventitrè anni, vive a Friburgo, in Germania, è una brava disegnatrice botanica, ed è una ragazza inquieta e insoddisfatta. Qualcosa si agita nel suo animo, sente il bisogno di staccarsi dalla sua terra, e nonostante l’amore per Johann decide di allontanarsi per qualche tempo. Sì, ma dove? La scelta cade su Trieste, città di cui Cora ha appena sentito parlare, ma che la affascina d’istinto: «Ma di Trieste non avevo letto niente. Sapevo a malapena che esistesse, forse per qualche ricordo sbiadito (...) della storia che avevo studiato, la Prima guerra mondiale, il Carso, l’Impero Asburgico, le divisioni, le spartizioni...». Il suicidio della sua grande amica Ilse è la molla decisiva. Cora fa i bagagli e parte per Trieste, senza sapere bene cosa troverà e dove andrà. Appena scesa dal treno si incammina a caso: «Trieste non è quindi un luogo dell’immaginazione, pensai in quei momenti, è una città realmente esistente, ma rimane per così dire una città immaginaria (...)». E a Trieste Cora poco alla volta entrerà in una dimensione quasi da favola. Gira per la città, visita i giardini e disegna piante e fiori. Conosce Juri Timavi, l’uomo sposato che le affitta un appartamento, e con il quale avvierà una relazione. E poi c’è Nanon, una bambina solitaria e silenziosa che chiede la carità, con la quale Cora avvia un rapporto affettivo fatto di brevi passeggiate, un gelato da mangiare insieme, la semplice compagnia. Una bambina che non domanda mai niente, tranne quando esprime il desiderio di avere un paio di pattini. Chi è questa bimba? Dove sono i suoi genitori? Perché non parla mai? In un’atmosfera rarefatta, velata di mistero e di sotterranee tensioni, Cora si lascia portare dagli eventi. L’amore per Juri, l’affetto per la piccola Nanon, indirizzano il suo vagabondare per la città vivendo ogni piccolo accadimento come il segno di uno svelamento. Ma Trieste è un luogo di anime e ombre sfuggenti, di labili promesse, un luogo sospeso. E anche nel rapporto con Juri, via via più stretto al punto da sfociare in una convivenza, Cora non riesce a trovare la pace che cercava: «Io però non ero per niente tranquilla, non mi sentivo al sicuro, avvertivo un profondissimo e tormentoso conflitto interiore». Poi, proprio nel momento in cui tutto sembra essere in equilibrio, proprio quando il destino sembra darle una direzione, ecco che Cora sente di dover di nuovo cambiare assetto: piccoli segnali di felicità nel buio del dolore le indicano la strada. E «come la felicità possa insinuarsi nel dolore più profondo, per me è un enigma».
Con “Una sognatrice a Trieste” (Santi Quaranta, pagg. 174, Euro 13,00), Claudio Segat tesse un romanzo dai toni lievi e rarefatti, vagamente retró, adatti a rappresentare gli enigmi e le fragili magie di una città come Trieste, che si dà senza mai rivelarsi, che suggerisce senza mai dire, luogo capace di attrarre anime smarrite, di accogliere e respingere allo stesso tempo. Segat, autore di livello dal timbro sicuro, dopo “Passeggiata con mio padre” e “Innamorarsi è stato così semplice” (entrambi Santi Quaranta) dà ancora una volta prova di saper rappresentare con grazia ma senza sconti i labirinti di luoghi e sentimenti.
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