La Grande Guerra vista da Remarque diventa un disegno senza nessun colore

Marco Cazzato per “Niente di nuovo sul fronte occidentale” disegna tavole livide che sottolineano la follia del conflitto



Noto per le collaborazioni come illustratore con le maggiori case editrici italiane e con numerosi quotidiani, Marco Cazzato ha imposto da anni il suo stile surreale e inquieto all’attenzione dei lettori che seguono con passione i suoi disegni e le sue creazioni. Frequenti sono le incursioni dell’artista torinese nel mondo del teatro, dei videoclip e delle copertine di dischi, tra cui è significativa la recente collaborazione con la band Marlene Kuntz in particolare per la canzone “Il partigiano”.

A questo lavoro e in generale al tema della guerra è coerente, in qualche modo, anche l’ultima avventura di Cazzato che ha appena illustrato un classico della narrativa del Novecento, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (Neri Pozza, pagg. 198, euro 20), capolavoro dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque. Il romanzo fu pubblicato nel 1929 e racconta la storia di un personaggio, Paul Bäumer, che assomiglia molto allo stesso Remarque che, appena diciottenne, inesperto e pieno di ideali, si era arruolato volontariamente e si era ritrovato catapultato nel carnaio della Grande Guerra: inviato sul fronte occidentale, venne ferito gravemente e quell’esperienza lo segnò per la vita.

Il suo libro in cui denuncia la follia della guerra è tuttora un manifesto del pacifismo e dai nazisti fu considerato un testo scomodo al punto che nel ’33 le sue opere in Germania vennero bruciate e messe al bando. Marco Cazzato asseconda il protagonista di Remarque e si tuffa insieme a lui nelle immagini in bianco e nero dai contorni mitizzati della guerra: all’inizio Paul e i suoi compagni sono soldatini che riposano in un campo di papaveri rossi giocando a carte, leggendo e scherzando. Irretiti dai discorsi sulla patria in pericolo del loro professore, ora rimpiangono di non poter dormire un po’ di più dal momento che in prima linea la veglia può durare anche due settimane. Il cuciniere è spaventato a morte dallo scoppio delle granate e non si fida di avvicinarsi troppo a loro per consegnare le marmitte, così che la sbobba arriva sempre fredda.

L’agonia e la morte di Franz, uno dei compagni, che si spegne in un letto di ospedale mentre gli altri puntano ai suoi stivali ancora buoni, diventano nelle illustrazioni di Cazzato immagini dai toni lividi e incolori. Il dettaglio degli stivali, come più avanti quello di un teschio, quello di una candela su cui i ragazzi buttano i pidocchi dopo esserseli tolti, o le oche che riescono a catturare e a mangiare, sono visioni frammentate di una vita in battaglia dominata dal nero soffocante che inghiotte tutto. “Ogni volta è la stessa cosa: quando partiamo siamo dei soldati qualunque, brontoloni o di buon umore a seconda dei caratteri; ai primi appostamenti di artiglieria tutto cambia, e ogni nostra parola ha una risonanza nuova”.

Lo strazio disumano del grido dei cavalli in fin di vita è compensato dall’incontro con un gruppo di ragazze francesi per raggiungere le quali i soldati attraversano a nuoto un fiume di notte: quell’intimità di gesti, corpi e frasi sussurrate a stento in una lingua straniera è l’unica a meritare nelle illustrazioni la luce che restituisce un calore temporaneo al protagonista. L’inquietudine di una generazione mandata al massacro è resa alla perfezione dai tratti severi e disincantati di Cazzato.

Quando nel 1937 Remarque conobbe Marlene Dietrich al lido di Venezia, lei gli si rivolse dicendo: “Lei sembra troppo giovane per aver scritto uno dei più grandi libri del nostro tempo”. I due avrebbero intrecciato una relazione platonica e la diva avrebbe aiutato l’amico negli anni nuovamente drammatici del nazismo. La traduzione italiana del testo è di Stefano Jacini con aggiornamenti e revisione a cura di Wolfango della Croce. –

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