La guerra di László il soldato che raccontò l’albero di Ungaretti

Nelle pagine del diario di un caporale ungherese la vita in trincea nel primo conflitto mondiale
Di Stefano Bizzi

di STEFANO BIZZI

Ha un che di straordinario il diario del caporale ungherese László Kókay, "László Kókay - Diario di un fante di Szeged a San Martino del Carso" (Edizioni del Gruppo Speleologico Carsico, a cura di Gianfranco Simonit, pagg. 192, s.i.p.). È straordinario nel senso stretto della parola e lo è per diversi motivi. Intanto perché il volume - ancora inedito - viene pubblicato prima in italiano che in ungherese, poi perché è il frutto di una collaborazione apparentemente impossibile, quella tra il piccolo gruppo Speleologico di San Martino del Carso e il presidente della Repubblica magiara. Se poi si vuole, il diario di Kókay è straordinario anche perché narra la normalità della prima linea con la semplicità di un uomo che non odia il nemico, ma che si trova in guerra solo per senso del dovere. Certo, ci sono i bombardamenti e ci sono i morti e le descrizioni non lesinano particolari duri, ma l'intento non è la spettacolarizzazione della morte, l'intento è la cronaca. Tanto per capire: a fine giornata del 7 aprile 1916 il caporale annota: «La solita sparatoria sul fronte, nessuno si fa male». Nella sua quotidiana normalità il libro racconta in modo dettagliato due mesi della vita di un soldato inquadrato nel 46mo reggimento di fanteria comune, quello che ha come simbolo l’albero isolato di Giuseppe Ungaretti tagliato e poi trasportato dai soldati in Ungheria. Ovviamente anche Kókay lo descrive. Lo osserva dalla trincea sopra la strada che porta da Sdraussina a San Martino del Carso. «Non c’è vita, non ci sono piante, non si vede neanche un filo d’erba, né un albero – scrive -, anzi come segno che qui una volta c’era della vegetazione, c’è rimasto come testimone un unico tronco di albero spezzato e senza vita, che sta sulla collina della chiesa come un punto esclamativo minaccioso, scuro, che sta ancora in piedi sul terreno che attorno è raso al suolo dalle granate, a dimostrare che qui si svolge già da un anno una lotta terribile, dove tante migliaia di uomini hanno dato la loro vita per questi sassi che sembrano non avere alcun valore, ma i soldati in fin dei conti stanno lottando per la propria patria».

«Alcuni anni orsono siamo venuti a conoscenza di questo diario e ci siamo subito interessati a contattare i proprietari e a farlo tradurre in italiano. C'è voluto molto tempo anche perché era scritto in ungherese antico e quindi più difficile da tradurre. Una grande ricerca poi di materiale fotografico negli archivi privati e negli archivi dei grandi musei a Budapest e Timisoara, in Romania, ci ha permesso di completarlo con immagini per lo più inedite», spiega Gianfranco Simonit, anima della sezione Ricerca storica del Gruppo Speleologico Carsico. Che aggiunge: «Il nostro contratto di collaborazione dello scorso anno con il Museo nazionale di Storia militare e con il ministero della Difesa ungherese serviva anche a questo scopo: entrare nei loro archivi per recuperare testimonianze del nostro territorio e in particolare di San Martino e dei luoghi descritti nel diario. Questo contratto ci ha permesso di recuperare già molto materiale e di poter realizzare molte collaborazioni con il ministero della Difesa». Numerose foto fanno parte del diario stesso di Kókay e riportano gli appunti e gli schizzi di mappe dei luoghi in cui si trovava l'autore. «L'archivio di Timisoara - sottolinea però Simonit - ci è servito per procurarci il materiale fotografico realizzato dal 61mo reggimento che a quell'epoca era posizionato a San Martino ed era il reggimento gemello del 46mo di Szeged». Nel 2015 il presidente della Repubblica ungherese Janos Ader ha celebrato la festa nazionale del 4 Giugno sul Monte San Michele e in quell'occasione aveva offerto la propria disponibilità a sostenere il lavoro di ricerca della memoria comune che il gruppo di San Martino del Carso stava portando avanti. Quella promessa di disponibilità si è ora tradotta nella prefazione del diario: «Posso raccomandare le annotazioni di Kókay con cuor sereno sia ai lettori ungheresi che a quelli italiani - scrive il presidente Ader -. È una gioia particolare che per la traduzione in italiano dobbiamo essere grati ai nostri cari amici: a quegli uomini valorosi che nel paese di San Martino del Carso, accanto ad una delle alture macchiate di sangue sull'altipiano di Doberdò, raccolgono e custodiscono in un piccolo museo i ricordi della Grande guerra». Il volume verrà presentato domani alle 20 al Centro Civico di San Martino del Carso, mentre domenica, alle 9, è prevista un'escursione sui luoghi descritti nel diario.

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