“La merda” al Verdi di Gorizia con la nuda realtà quotidiana

GORIZIA. Qualcuno tirerà fuori il solito argomento: le parolacce le troviamo anche in Dante e in altri grandi; inoltre, sono entrate nel linguaggio comune. A sentirle non c'è quindi bisogno di...

GORIZIA. Qualcuno tirerà fuori il solito argomento: le parolacce le troviamo anche in Dante e in altri grandi; inoltre, sono entrate nel linguaggio comune. A sentirle non c'è quindi bisogno di sorprendersi o di gridare allo scandalo. Ma in molti, c'è da scommettere, arricceranno il naso già per il titolo dello spettacolo che approda stasera, alle 20.45, al teatro Verdi di Gorizia, quarto e ultimo appuntamento della sezione “Verdi off”: “La merda”. Per non parlare di un altro non trascurabile elemento, anche se sui palcoscenici ne abbiamo già viste di tutti i colori: Silvia Gallerano, l’attrice del monologo, sul palco è completamente nuda. Provocazioni inutili? Scelte di dubbio gusto?

Di fatto, “La merda”, il cui testo è firmato da Cristian Ceresoli, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti e registrato a livello internazionale un considerevole successo.

Lo spettacolo in sintesi?

«Si tratta - risponde Silvia Gallerano - del flusso di coscienza di una ragazza che vuole farcela a tutti i costi nel mondo di oggi in cui ciò che sembra importante è apparire, venire riconosciuti per strada. Insomma, nel mondo dell'apparenza, non è importante ciò che si fa (infatti la protagonista non è che tenga in maniera particolare a diventare una modella, una soubrette o una cantante): l'importante, per lei, è farcela».

Un personaggio emblema dei nostri giorni...

«Sì, in quanto lo spettacolo è uno spaccato, un ritratto, un paesaggio, un flash, un’immagine di quello che ci circonda. La scrittura di Ceresoli attinge dalla realtà, dal quotidiano, e, quindi, dai modi di dire e di fare, e porta il tutto dentro un flusso, una partitura scritta con un intento, un aspetto, uno sguardo poetico».

Non le crea imbarazzo stare nuda sul palco?

«No, e devo dire che ultimamente preferisco non rispondere a domande sulla nudità, perché mi sembra che siano state il problema della percezione di questo lavoro, che tante volte è stato schiacciato anche dal titolo. Ma non c’è alcun desiderio di provocazione: è soltanto un modo di svelarsi, di mostrarsi e ciò viene perfettamente compreso. La cosa più faticosa, invece, è il dover interpretare un personaggio che ha risvolti negativi».

Ammetterà che anche il titolo non lascia indifferenti…

«Sì, però è una parola che usiamo tutti i giorni: insomma, non c’è niente di nuovo e, anzi, artisticamente è stata abusata da tanti».

Dobbiamo quindi attenderci un turpiloquio?

«No, non c’è un linguaggio forte, volgare. È la performance, il tema che è forte. L’empatia che si prova nei confronti di questo personaggio, allo stesso tempo tenero e feroce, colpisce e fa paura, in quanto lo si sente dire e fare cose orribili ma in tale personaggio ci si riconosce perché contiene elementi che in realtà tutti abbiamo anche se tentiamo di tenere a bada».

Il titolo e la nudità sulla scena vi hanno causato problemi?

«Siamo dovuti scappare dall’Italia, tradurre il testo in inglese e debuttare a Edimburgo, a spese nostre, facendo un investimento enorme sulle nostre vite. In Italia questo lavoro non aveva possibilità di esistere, abbiamo subito una censura. Poi, siamo tornati vittoriosi dal festival internazionale e, come tutte le cose che funzionano, in molti hanno bussato alle nostre porte; ma continuiamo a subire un ostracismo dal sistema teatrale».

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